Se nell’immaginario collettivo i Sex Pistols rappresentano il punk e tutte le sue derive, la band di Coventry può tranquillamente reggere lo scettro di quello che fu, alla fine degli anni settanta, il grande successo degli scacchi bianchi e neri, quel revival della musica ska che portò altre band come Madness, Selecter e Beat a conquistare le vette delle classifiche di vendita, che in quei tempi avevano tutto un altro valore. Lo ska britannico nasce quindi come un’evoluzione del punk che incontra e si fonde, principalmente, con soul e reggae, in un’ Inghilterra dove la tensione sociale era altissima. Gli scontri di Nothing Hill durante il carnevale del 76 sono solo la punta dell’iceberg di un clima di discriminazione razziale molto pesante e di crisi economica che non si affievoliranno negli anni successivi con l’avvento della Thatcher e delle sue politiche poco inclini all’ascolto ed al dialogo. In questo clima politicamente e socialmente teso, la musica, che spesso ne è il riflesso, trova nuovi spunti espressivi. Jerry Dammers è la mente non solo artistica della band. Fonda l’etichetta 2 Tone Records il cui logo è un omino stilizzato che ha pure un nome, Walt Jabsco, indossa il classico cappello pork pie, occhiali da sole, giacca, cravatta e mocassino, lo stile Mod è il loro outfit di rifermento. La band ha un incredibile successo con singoli che sistematicamente raggiungono la top ten delle chart britanniche. I primi tre album vengono considerati “canonici” (rispetto ai successivi, prevalentemente di cover o live con formazioni discontinue) con “In The Studio”, del 1984 , l’ultimo con la partecipazione di Dammers (che del gruppo era il tastierista e autore dei brani). La band era ormai internamente spaccata: le forti personalità di Terry Hall (carismatico e storico frontman bianco), Neville Staple (lui nero, ex rodie che si guadagna il posto di co-frontman grazie alla sua abilità nel cantare con il classico stile giamaicano), il chitarrista nero Lynval Golding e quello bianco Roddy Radiation, Horace Panter (basso) e John Bradbury (batteria) formano un mix di culture, razze e stili musicali di riferimento che, se da un lato, avevano favorito la nascita di uno stile e la dimostrazione di un’integrazione tangibile, dall’altro causarono l’inceppamento dei meccanismi di una macchina creativa che sembrava innarrestabile.
Varie formazioni e reunion si sono susseguite negli anni a seguire, con un album di inediti del 2000 (Skinhead Girl, passato quasi innosservato) fino al tanto atteso album “Encore” uscito proprio in questi giorni. La line-up attuale molto si avvicina a quella degli albori (con Hall, Golding e Panter) ricordiamo anche la scomparsa, nel 2015, di John Bradbury, proprio mentre iniziavano i lavori di registrazione dell’album. Staple ha lasciato da poco la band e manca Jerry Dummers -questo era scontato- che ha pure cercato di evitare l’uscita del disco con il marchio “The Specials“. Non staremo a dilungarci su una questione che sembrerebbe solo burocratica/giudiziaria riguardo l’utilizzo del nome della band. Possiamo però immaginarci l’approccio artistico e compositivo dei “superstiti” nello scegliere i brani (stili ed influenze) da pubblicare in un album con aspettative così alte. Un particolare aspetto del songwriting della band non è certamente tramontato: il contenuto dei testi, la continua denuncia ed il racconto di un epoca in cui i problemi sono ancora gli stessi di quarant’anni fa.
Ne avevamo avuto una conferma nei singoli “10 Commandaments” e “Vote for me”. Il primo è una risposta al brano di Prince Buster (Cecil Bustamente Campbell), uno dei pilastri della musica giamaicana. Gli Specials avevano già omaggiato il loro idolo con due cover che li fecero conoscere in tutto il mondo, “Too Hot” ed “Enjoy Yourself”.
Il brano in questione, scritto dal principe negli anni sessanta era un decalogo su come dovrebbe essere il comportamento di una moglie, qui intesa come oggetto di proprietà (“…ubbiderai ad ogni mio capriccio e fantasia, sette giorni alla settimana e due volte di domenica”). La versione degli Specials è lasciata all’attivista Saffiyah Kahn, una giovane ragazza di Birmingham diventata famosa per una foto del 2017 in cui è ritratta mentre sbeffeggia il leader del movimento di estrema destra EDL Ian Crossland. La versione dei dieci comandamenti secondo Saffiyah è ovviamente di natura differente ed il parlato della Khan ha come base musicale il pezzo di Dawn Penn “You Don’t Love Me (No, No, No)”. L’altro singolo “Vote for me” è un ritratto poco edificante dell’immagine dei politici, musicalmente gli stacchi ricordano la celebre “Ghost Town”, uno dei pezzi di maggior successo della band di Coventry. Oggi non sono gli scioperi degli operai delle grandi fabbriche del Nord a mettere a dura prova il governo ma il comportamento incoerente di molti politici attuali incapaci di guidare il paese verso una scelta responsabile nel triste spettacolo della Brexit.
Non ci sono i pezzi veloci che caratterizzarono lo ska post punk del primo album ma troviamo una versione dub tango di “Lunatic” (pezzo dei Fun Boy Three, la band nata dopo il primo scioglimento) ed il funk della opener “Black Skinned Blue-Eyed Boys” (brano originale degli Equals, probabilmente la prima band britannica che includeva musicisti bianchi e neri) che testimoniano il tentativo di sganciarsi da un passato glorioso ma troppo lontano (al contrario la nuova versione della cover “Blam Blam Fever” dei Valentines davvero necessitava di una rispolverata?).
In “B.L.M.” (Black Lives Matters) Golding, su una base ancora funky, racconta di come il razzismo è parte della sua esperienza di vita sin da quando il padre arrivò nell’Inghilterra post bellica per contribuire alla ricostruzione mentre nella orecchiabilissima e vivace reggae popsong “Embarassed by You” le nuove e ribelli generazioni sono d’imbarazzo alla vecchia, più accondiscente al sistema.
La conclusiva e malinconica “We Sell Hope” è anche un inno alla speranza, un invito a guardare il mondo con i nostri occhi e soprattutto con la nostra mente.
Un pensiero a parte merita il brano “The Life And Times (Of A Man Called Depression)” in cui Terry Hall si apre e trova il coraggio di esternare la sua condizione di malato. Soffre sin da ragazzino di sindrome maniaco depressiva e schizofrenia, cosa che lo rese noto come “quello degli Specials che non sorride mai”. Ora, grazie alle cure ed una vita più sana la sua esistenza è decisamente migliorata. Chiudersi in sè stessi sperando nel miracolo di droghe ed alcol non lo avrebbe salvato.
Se “In The Studio” rappresentava l’ultimo vero album degli Specials, il concerto di Wembley dell’11 giugno 1988, organizzato per festeggiare il settantesimo compleanno di Nelson Mandela, rappresenta il picco più alto ed emozionante della storia della band (che tra l’altro, quel giorno neppure esisteva più, il solo Dammers era li sul palco). “Nelson Mandela” è pure il famosissimo brano che tutti noi conosciamo e che sicuramente abbiamo ballato soccombendo alla sua forte carica coinvolgente.
“Encore” rappresenta il disco della nuova era, la terza fase, quella della vera rinascita. Un album sincero dove 40 anni sembrano non siano davvero passati. Vedere Terry Hall oggi e rivederlo sul palco ventenne mentre intrattiene i fan con l’intramontabile “Too Much, Too Young” fa un certo effetto: anche senza Jerry Dammers la band vinto la battaglia sul campo. Si, possiamo confermalo a voce alta, The Specials are back…