di Franco Scaluzzi
Le premesse non erano buone. Il loro ultimo album (“8”, grande fantasia già dal titolo) è sicuramente il lavoro meno riuscito della loro ventennale carriera. Il freddo affettava i nostri poveri visi. La fila chilometrica mai vista fuori dall’Unipol Arena. Il palazzo mezzo vuoto (almeno per essere un concerto dei Subsonica). Poi però si inizia. Subito “Bottiglie Rotte” e il superclassico “Discolabirinto” per scaldare il pubblico. A seguire la riuscita cover di “Up patriots to arms” di Battiato e la sempreverde “Nuova Ossessione”. Un “bel” trittico dall’ultimo lavoro ‘smoscia’ tutta l’Arena (ma meglio togliersi il dente subito). Anche Samuel (in forma pazzesca: salta, corre, canta come avesse vent’anni) ci richiama, dicendo che sui pezzi nuovi non siamo proprio ferrati.
Allora meglio passare a qualcosa di più conosciuto.
“Liberi tutti”, “Il diluvio” e “Perfezione”. E poi un breve omaggio (non riuscito) a Dalla con Samuel che canticchia “Com’è profondo il mare”. “L’incredibile performance di un uomo morto” e poi “Respirare” cantata su un pezzo di scenografia che prima è schermo e poi è pavimento. Sul palco sale Willie Peyote che fa la sua figura soprattutto in “Radioestensioni”.
A questo punto non ci sono più pause e la scaletta decolla. Prima “La Glaciazione” e poi il trittico danzereccio “Nuvole rapide”, “Veleno” e “Aurora Sogna”. Giusto il tempo di rilassarsi un attimo coi medicinali di “Depre” e poi ancora grandi classici come “Il cielo su Torino”, “L’odore” e “Abitudine”. Infine è il momento di chiedere scusa per non essere riusciti a bissare “Microchip emozionale” (“Benzina Ogoshi”), per “Tutti i miei sbagli” e di prendere le “Strade” per tornare nelle nostre case.
In conclusione le premesse non erano buone ma è stato “tanto liberatorio” (cit. Guzzanti che imita Funari).