“Don’t be sad it’s over, be happy that it happened”.
Così chiosava King Monkey, al secolo Ian George Brown, dopo l’ultimo, storico, concerto degli Stone Roses ad Hampden Park.
Icona assoluta della scena madchester, personaggio di culto per intere generazioni (vedasi anche il concittadino Liam Gallagher), rieccolo con un nuovo album dopo 9 anni dall’ultimo lavoro solista.
Perchè ti ritrovi ad aver sforato il mezzo secolo di vita, e le cose più importanti – musicalmente parlando – le hai fatte 30 anni fa. E da lì, non è che hai messo in posa questo granchè, tant’è che più di una volta si è dovuti ricorrere al vessillo Stone Roses per darsi visibilità e, diciamocelo, qualche soldino.
Ci prova King Monkey a dare in dono qualcosa di interessante. Tenta incursioni nel funk con “The Dream and The Dreamer”, nel reggae con “Break Down the Walls” e reinterpretando “Black Roses” di Barrington Levy, ripercorre sentieri sonori (e non solo, visto che nel video riappare una bicicletta tipo quella di “F.E.A.R.”) più madchester con “First World Problems”, cerca persino l’instant classic con l’acustica “Breathe And Breathe Easy” o ipnotiche linee di basse con il pezzo che dà il nome all’album, “Ripples”.
Risultato?
Un songwriting povero tra aforismi e frasi fatte, una struttura sonica a tratti imbarazzante (la “Breathe And Breathe Easy” sovra richiamata è un tranchant, ma per le orecchie di chi ascolta…), più che materiale nuovo, ideato ed arrangiato per un nuovo album, il tutto sembra una bolsa e asfittica raccolta di c-side. E nemmeno la voce, piuttosto monocroma, del Nostro fornisce un qualche valore aggiunto per uscire da quest’imbarazzante empasse.
Sarò inclemente ma caro Ian, il ventesimo secolo è finito da un po’, vai per i 56 anni, hai un passato alle spalle che ti ha reso, nel tuo settore, un qualcosa di vicino ad un idolo: se si ha -artisticamente, à§a va sans dire – così poco da dire, il silenzio, se non più conveniente, è probabilmente più dignitoso. Stacce.