Il cinque febbraio 1968 la Capitol Records pubblicava il secondo album di una ragazza del Mississipi: Roberta Lee Streeter, in arte Bobbie Gentry. Quell’album si chiamava “The Delta Sweete”. Un’ opera country jazz con tocchi orchestrali, composta in gran parte da brani che Bobbie Gentry aveva interpretato, scritto e co – prodotto. Una rarità per l’epoca. Appena un anno prima “Ode To Billie Joe”, il debutto della Gentry, aveva spodestato i Beatles dal primo posto in classifica trascinato dal singolo omonimo. Un sogno per una ragazza di appena ventitrè anni.
Diverso il destino di “The Delta Sweete”. Accolto freddamente dalla critica e dal pubblico, quasi dimenticato dopo l’uscita degli album successivi di Bobbie Gentry, i duetti con Glenn Campbell, il successo di “Touch ‘Em with Love” e “Fancy”. Sottovalutato anche dopo il ritiro dalle scene di Roberta Lee Streeter a fine anni settanta, stanca di un mondo della musica che era sempre più business e meno anima. Le radio hanno continuato a passare “Ode To Billie Joe” e tra gli ascoltatori c’era anche un giovane Jon Donahue, futuro cantante e chitarrista dei Mercury Rev.
Otto anni fa Donahue ha ripreso ad ascoltare “The Delta Sweete” rimanendone conquistato e decidendo di chiamare a raccolta dodici voci femminili che potessero raccontare quelle storie, cantare quelle canzoni mantenendo intatta l’atmosfera intima che Bobbie Gentry sapeva creare. Così è nato “The Delta Sweete Revisited” e ad accompagnare Donahue e i suoi Mercury Rev c’è un cast di tutto rispetto.
Fan della prima ora come la grintosa Lucinda Williams (che si cimenta in “Ode To Billie Joe” non presente nell’originale mentre viene omessa la cover di “Louisiana Man” di Don Kershaw) e Beth Orton, una garanzia. Susanne Sundfør, capace di scoprire sorprendenti somiglianze tra la sua Norvegia e il profondo Sud cantato dalla Gentry. L’elegante e soffusa voce di Norah Jones. Hope Sandoval dei Mazzy Star diversa dal solito ma decisamente a suo agio in “Big Boss Man”.
Una Phoebe Bridgers delicatissima che sa mantenere e esaltare l’anima folk di “Jessye’ Lisabeth” e una mai così gotica Marissa Nadler. “Reunion” in una versione colorata e esplosiva è affidata alle sapienti mani di Rachel Goswell degli Slowdive. Laetitia Sadier degli Stereolab è maestosa e materna in “Mornin’ Glory” mentre Vashti Bunyan, altra artista tornata alla ribalta dopo una lunga assenza dal palcoscenico, trasforma “Penduli Pendulum” in una ninna nanna spettrale con l’aiuto di Kaela Sinclair degli M83.
A Margo Price spetta forse il compito più difficile, quello di reinterpretare il traditional “Sermon” adagiandosi sul tappeto di suoni ambient e impressionisti creato dai Rev e lo fa con passione. La meno conosciuta tra le voci presenti è probabilmente quella di Carice Van Houten, attrice e cantante olandese, che sorprende in una intensa “Parchman Farm” dai toni quasi western.
I Mercury Rev con l’aiuto di queste dodici signore rielaborano completamente “The Delta Sweete”, sostituendo gli arrangiamenti folk, country e funky dell’originale con suoni ricercati, orchestrali e morbidamente psichedelici. E’ un omaggio di gran classe quello organizzato da Jon Donahue, Grasshopper e Jesse Chandler (ex Midlake) che non sostituisce ma affianca il capolavoro dimenticato di Bobbie Gentry.