Un cantautore in piena ascesa, un pubblico entusiasta e caloroso, la calda e bellissima location del Santeria Social Club di Milano esaurita in ogni ordine di posto e soprattutto musica bella e ispirata: c’erano tutti gli ingredienti giusti per auspicare una splendida serata per il concerto del palermitano Dimartino e in effetti la gente non è stata affatto delusa.
Dimartino si trova probabilmente al primo bivio della sua ancora giovane carriera: viene da tre dischi di puro cantautorato, seppur in chiave indie, e dall’interessante collaborazione con Fabrizio Cammarata nell’omaggio alla cantante messicana Chavela Vargas, che lo hanno da subito fatto accogliere dalla critica e amare da un pubblico attento e sempre più numeroso.
Tuttavia, le canzoni che compongono il suo nuovo album “Afrodite” contengono quel maggior respiro, sia a livello compositivo che di struttura del suono, che lasciavano presagire scenari ottimistici per un’apertura a una platea più grande, visto che si tratta di pezzi che, pur non tradendo lo spirito e il suo stile, sono più ariose, melodiche e orecchiabili.
Ma da quanto si è potuto sentire e toccare con mano durante il live milanese, tutto sold out, i fans della prim’ora possono stare tranquilli: la svolta pop radicale non c’è stata e l’approccio rimane comunque piuttosto intimista e raccolto, nonostante appunto bastasse aggirarsi un paio d’ore prima del concerto nei pressi del locale (dove si può pure cenare e bere con gusto!) per percepire la grande attesa e un fermento notevole.
Fascia di pubblico attorno ai 25/30 anni ma con punte di giovanissimi e di over 40, molti sinceramente incuriositi da quello che viene definito, non a torto, uno dei migliori talenti della sua generazione. Lo si capisce anche dal fatto che diversi colleghi coevi si avvistano tra la folla, tra cui Diodato e Colapesce, sintomo di stima acquisita nell’ambiente.
Attorno alle dieci le danze possono avere inizio e subito l’artista ci propone un trittico di buon impatto dal nuovo disco “Afrodite”, che il pubblico mostra di aver già ben assimilato, tanto da cantare con grande entusiasmo sin dalle note iniziali di “Ci diamo un bacio”, cui è affidata l’apertura del live. All’inizio la band scandisce in sillabe il nome dell’album, poi entra Dimartino e note quasi tribali anticipano una di quelle canzoni dai toni agridolci, tanto care all’autore, seguita dal singolo “I giorni buoni”, dal mood anni ’70 fedele al disco, con ritornello cantato in coro con le prime file.
E’ poi la volta de “La luna e il bingo” che assume toni vivaci, un po’ tribali, con la melodia che via via si fa “brasiliana”. A intervallare le canzoni nuove, tutte presentate in scaletta nella prima parte, ci pensa l’antica “Cercasi anima”, tratta dal primo album datato 2010, in cui fa egregiamente la sua parte anche la bravissima chitarrista e tastierista Simona Norato. L’atmosfera, resa suggestiva e dolce, continua sulla stessa linea con la magnifica “Due personaggi”, a mio avviso il brano più bello di “Afrodite”.
La Norato impreziosisce anche l’intensa “Liberarci dal male”, prima di un altro momento di grande pathos con quella “Feste comandate” che è una accorata dedica di Dimartino alla piccola figlia, oltre che il momento in cui si alzano tanti smarphone intenti a immortalare il momento, come una volta si faceva in occasione delle ballate con gli accendini!
L’acustica e soave “I calendari” tratta dal disco precedente rallenta un po’ il ritmo, come la successiva “Oramai siamo troppo giovani”. Si arriva così a uno dei momenti migliori dell’intero set con l’entrata di Brunori nel mezzo di “Daniela balla la samba” introdotta egregiamente dal piano di Angelo Trabace. Il duetto anima il pubblico e l’entusiasmo rimane tangibile anche nella successiva “Cuoreintero”, il brano di punta dell’album.
Una scatenata ed energica “Pesce d’aprile”, che rende ancora di più dal vivo, chiude di fatto la prima parte del set, lasciando poi spazio ai vecchi pezzi, quelli più attesi. Tra le nuove solo l’intensa “I ruoli” si ricava un posticino prima della doppietta finale affidata ad autentici classici.
Passano in rassegna infatti un po’ tutte le canzoni più amate del Nostro, dalla celebre “Non siamo gli alberi, cantata per la prima parte in pratica “a cappella” dall’autore insieme al pubblico, a “Venga il regno”, da un “Maledetto autunno” anticipato da una bellissima parte strumentale, alla struggente “Niente da dichiarare” in cui invece il pubblico è concentrato, assorto, rapito e ascolta quasi in religioso silenzio.
La degna chiusura di un concerto senza punti deboli è spettata ad “Amore sociale”, una delle migliori ballate del suo repertorio.
Che dire? La resa live conferma quanto di buono si era intuito in merito alla crescita artistica di Dimartino, pienamente a suo agio con la sua band, affiatatissima, e con il pubblico, che sembra riconoscersi in quei versi ispirati e intrisi di poetico realismo.
La mia idea sul fatto che sia pronto al “grande salto” si è rafforzata ancora di più, dopo aver visto il coinvolgimento attivo di così tanta gente e soprattutto per il suo spessore e il suo talento cristallino che lo fa preferire a fenomeni magari più sovraesposti di lui ma pure effimeri al suo cospetto.
Dimartino invece è qui per restare e ha tutte le carte in regole per crescere ancora di più nel suo percorso.