Un bacio spassionato e appassionante tra elettronica avant-garde e il classico stile Americana- folk, ecco cos’è in parole spicciole il nuovo album, bellissimo, di Cass McCombs.
Personalmente sono rimasto estasiato da una domanda che Ben Roylance, analizzando il disco, si è posto su Tiny Mix Tapes: “In the craft of the song is the revelation of the song’s eternity?“. Il quesito è puntuale e perfetto a spiegare la natura del lavoro sulla forma canzone di Cass McCombs: nel cantautore c’è una spinta alla ricerca più da teologo che da artista pop. Torniamo infatti alla dimensione sacerdotale della musica pop, di cui avevamo parlato insieme ai Siberia alcune settimane fa.
C’è un flusso continuo di vitalismo che rende Cass McCombs un autore bergsoniano (da Henri Bergson).
Un bellissimo racconto uscito su Granta, offre un ulteriore spunto di riflessione: “Repetition is the true engine of the world,(…), and evil comes from chaos, which idles the engine and causes confusion“. Nella testa, e nella musica di Cass, possiamo percepire come questa sentenza sia ribaltata: nel caos infatti troviamo l’esaltazione di una libertà , di un disco che anche nei pattern più estremi evita la ripetitività .
Il disco è strutturato come una jam, bacia l’essenza di un Tim Buckley e inserisce anche qualche spunto di Kurt Vile, nell’uso di suoni più ruvidi, imprecisi ma perfetti per rappresentare il gigantesco serpente di idee che sgorga dal disco e dalla mente di Cass.
L’approccio da “jam session” è incredibilmente cucito sulla prolificità di Cass McCombs che sa sempre emergere, pezzo dopo pezzo, anche quando i dettagli sembrano eccessivamente ridondanti e barocchi.
I brani meno riusciti sono quelli che riportano il suono di “Tip Of The Sphere” a “Mangy Love” o comunque alla zona più di confortevole per Cass. Al contrario pezzi come “Prayer For Another Day” o “Sidewalk Bop After Suicide” sono tempeste perfette che si accendono in temi, presenti nel disco, come la reincarnazione, la mancanza di una casa stabile, il piacere/necessità del “vagabondaggio”.
Essere Cass McCombs significa prima di tutto rimodulare un suono che si bagna in Lou Reed, Dylan o Buckley, ma che alla fine ha un elemento totalmente altro e diverso rispetto al passato. L’elemento in questione è difficile da inquadrare con precisione e probabilmente ha a che vedere con la delicatezza di Cass nel raccontare le inesplicabili pesantezze dell’essere artisti in un mondo che ha perso il suo contatto sacro e imperturbabile con l’eterno.
Credit Foto: Silvia Grav