Edda: nome sintatticamente semplice che racchiude un sistema complesso di attività artistiche.
Il mondo di Stefano Rampoldi parte in una band ma finisce per essere declinato, al meglio, in una serie di dischi solisti che dal 2012 arrivano, puntuali e disarmanti.
“Fru Fru” è il nuovo lavoro di un artista tra i più originali in attività , che riesce a bilanciare istinti surrealisti, trasformando il tutto in un sano e prolifico esercizio di caos.
Il disco che tocca argomenti come la carnalità (in “Vanità “), l’attualità (in “Italia Gay”), estranianti risvolti personali (in “E Se”) riesce ad essere sempre estremamente vicino alla spiritualità . Un lavoro che parla quasi a livello antropologico di istinti e pulsioni, dall’infanzia ad un’odissea del tormento sessuale.
Edda riesce a intingere ogni elemento di un surrealismo psicodrammatico, dai “turchi che baciano i curdi”, ai “corpi” e “i culi”. Al centro c’è un forte rapporto, quasi ascetico, con il sesso tanto complesso quanto affascinante e lancinante.
“Fru Fru” è un ricordo onomatopeico che ci porta a rintracciare nel disco due piani, uno più volatile e l’altro più ancestrale: la capacità di Edda però è nel saper confondere, continuamente, i confini dei due volti della realtà .
Stefano Rampoldi (nome di battesimo dell’autore) è un Roger Rabbit che si infila in situazioni e scene sottili, un personaggio fumettistico che riuscirebbe ad adattarsi anche alle scene più misteriche di Lynch in “Velluto Blu” o “Mulholland Drive”.
Edda riesce a farci arrivare al cuore delle canzoni, inserendosi in zone inaccessibili agli altri, sfruttando il fascino e l’inaspettata logica del caos.
Raffaella Carrà , Ivan Graziani, i Beatles e gli Strokes, un mondo musicale vario e estremo rappresentato nei 29 essenziali minuti di registrazione.
ll funk sintetico di Edda è uno sgorgare di idee fresche, dove l’arrangiamento di un pezzo come “The Soldati” o “Ovidio e Orazio” trova una leggiadria di base che gioca con le mode, le contemporaneità o gli anni del liceo (quindi il passato).
Il caos calmo di Edda è un contenitore di imperturbabilità : c’è saggezza e anche, in un ampio senso del termine, santità .
Indovinatissima è la durata, probabilmente sarebbe stato eccessivo andare oltre con un sound così eclettico e spinto; anche la scelta dei pezzi è stata molto ponderata sulla realizzazione di un album organico e completo.
Unica mancanza del disco è forse una parte più solitaria e acustica, che spesso appariva nei lavori di Edda ed era capace di raccontare delle contraddizioni e dei gusti sonori ampi, decisi e raffinati.
“Fru Fru” riesce ad essere come uno dei canti di Maldoror, in cui Isidore Ducasse scrisse “Io uso il mio genio per dipingere le delizie della crudeltà “. Edda è simile al francese, perchè riesce a deliziare con un disco dall’odore di sangue e terra.
I suoni sono legati ai ricordi, i ricordi alle canzoni e le canzoni alle miserie, bellissime e necessarie.
La chiave per comprendere il lavoro è tutta nel cogliere le sfumature del tono semi-serio e spirituale del cantautore.
Edda è un Tolstoj silente che ride e rockeggia.