C’è qualcosa di esaltante e al tempo stesso spaventoso nel progetto Avantasia. A reggerne le fila da quasi vent’anni è Tobias Sammet, che quando non è troppo impegnato a registrare dischi e fare tournèe con gli Edguy chiama a raccolta alcuni tra i suoi cantanti preferiti per coinvolgerli nella realizzazione di imponenti opere metal che farebbero tremare i polsi persino alle truppe della Trans-Siberian Orchestra. Dal 2001 a oggi decine e decine di grandissimi artisti del passato hanno accettato di buon grado di unirsi allo sfavillante sogno di questo talentuoso megalomane di Fulda, Germania; una all star band in perenne mutazione guidata da un maniaco della perfezione che nel corso del tempo ha collezionato ospiti di peso – Alice Cooper, Klaus Meine, Jon Oliva, Joe Lynn Turner e Michael Kiske, giusto per citarne alcuni tra i più noti ““ come fossero figurine dei calciatori.
Sammet è un tipo alquanto eccentrico e per capirlo basta dare un’occhiata a una sua qualsiasi foto promozionale. Sembra uno di quei cosplayer che potreste incontrare alle fiere dei fumetti; va in giro conciato come un domatore di leoni sbucato fuori da un universo steampunk. Nel circo Avantasia, arrivato alla sua ottava tappa con “Moonglow”, le bestie feroci da tenere a bada hanno nomi davvero altisonanti: oltre al solito Kiske degli Helloween, vi troviamo anche Hansi Kà¼rsch (Blind Guardian), Mille Petrozza (Kreator), Candice Night (Blackmore’s Night), Eric Martin (Mr. Big) e, dulcis in fundo, un rigenerato Geoff Tate (ex Queensrà¿che), impeccabile in “Invincible” e “Alchemy”.
Interpreti di un certo livello che Tobias Sammet tratta con i guanti di velluto, scrivendo brani in grado di adattarsi splendidamente alle loro diverse caratteristiche. Prendiamo a esempio “Book Of Shallows”, una delle tracce migliori del lotto: qui il padrone di casa sfida Kà¼rsch, Ronnie Atkins (Pretty Maids) e Jørn Lande (Masterplan) in un’elettrizzante gara di virtuosismo canoro di tradizione power metal, per poi lasciare campo aperto a un avvelenatissimo Petrozza per una bella parentesi thrash. Una virgola di pesantezza in un album che privilegia ben altre atmosfere, ovvero quelle ultra-melodiche e levigate dell’AOR più epico e “wagneriano”.
Genere di cui fu campione indiscusso il vecchio Meat Loaf, qui citato in maniera più o meno esplicita in “Ghost In The Moon”, gioiosa suite pop metal di dieci minuti che parte con un riff di piano quasi identico a quello di “I’d Do Anything For Love (But I Won’t Do That)”. Un po’ più originali “Moonglow” e “The Raven Child”, dai forti tratti celtico/fantasy: chiudete gli occhi e vi sembrerà di cavalcare un dragone, pronti per lanciarvi alla conquista dei sette regni di Westeros.
Se “Il Trono di Spade” non fa per voi, provate a dare una chance all’inequivocabile matrice eighties di “Starlight”, “Lavender” e (inutile dirlo) “Maniac”, cafonissima rilettura del classico a firma Michael Sembello tratto dalla colonna sonora di “Flashdance”. Verrete travolti da una scarica di energia talmente violenta da farvi salire l’impellente desiderio di correre in Siberia e seguire il durissimo regime di allenamento del Sylvester Stallone di “Rocky IV”. In parole povere: se amate i colossal musicali, non potete perdervi assolutamente questo disco. Tobias Sammet è il Michael Bay dell’heavy metal – con tutti i suoi pregi e difetti, naturalmente.