Un ritorno convincente quello dei napoletani Epo, capitanati dalla voce e dalle parole del fondatore Ciro Tuzzi, a distanza di ben quattro anni dall’Ep “Serpenti”.
Con “Enea” ritornano prepotentemente in pista, senza tuttavia gridare o dimenarsi troppo per farsi notare.
Bastano melodie essenziali ma sorrette magistralmente dalla lieve chitarra dello stesso Tuzzi e di Michele De Finis e dalle tastiere di Mauro Rosati, da poco in organico, in grado di intingere sfumature inattese e di rendere assolutamente contemporanea e originale la proposta musicale dell’ensemble.
Senza per questo rinunciare a mantenere legami con la tradizione più pura delle proprie radici, imperniata e resa magnificamente nell’intensa e a tratti struggente interpretazione del leader e dal pieno utilizzo del dialetto napoletano.
A completare la band l’efficace sezione ritmica composta da Gabriele Lazzarotti al basso e Jonathan Maurano alla batteria. Non solo, a incidere profondamente nel tessuto sonoro delle tracce di “Enea”, concorrono gli interventi di due autentici mostri sacri del panorama indie rock italiano: Roy Paci ai fiati e Rodrigo D’Erasmo agli archi.
Ma tutto questo non basterebbe se alla base non ci fosse un progetto buono alle spalle, lavorato duramente e cesellato nei minimi particolari, senza che ciò influisca negativamente sulla freschezza e sull’immediatezza della proposta.
Quello che scorre piacevole all’ascolto non è propriamente un concept album, nonostante “Enea” rimandi necessariamente all’opera di Virgilio e a un’idea di viaggio, che qui al limite viene vissuto come percorso interiore dal protagonista, per quanto quasi esplicitato in un brano come “Sirene” (debitore dell’opera di Omero).
E’ però un disco che è bene ascoltare traccia per traccia, anche perchè non mancano velati collegamenti tra un brano e l’altro, e soprattutto perchè rende decisamente meglio come insieme che non nei singoli episodi.
In ogni caso che ci sia dello spessore è evidente sin dall’ouverture affidata all’evocativa “Addò staje tu”, dai toni drammatici, cui conferisce valore la solenne tromba dell’ospite d’onore Roy Paci.
A seguire ecco la dolcezza sconfinata di una “‘A primma vota” in cui l’autore fa riaffiorare ricordi di infanzia e si sofferma sui cambiamenti che la vita ci impone. Questa canzone è emblematica della dualità insita nella proposta degli Epo, che suonano antichi e moderni insieme.
La successiva “Nun ce guardammo arete”, introdotta da sonorità arcaiche, volta poi su toni obliqui, rendendo minacciosa l’atmosfera che rimane tesa per tutta la sua durata, anche per l’interpretazione drammatica del frontman Tuzzi e i malinconici archi di D’Erasmo: è la canzone forse meglio arrangiata, di certo la più complessa dell’intero lavoro.
“Dimmelo mo” è invece un episodio un po’ interlocutorio ma si aggancia bene alla melodica, struggente “Luntano” impreziosita ancora da Roy Paci.
Più distesa e ariosa è la calda “Damme ‘na voce”, mentre a mio avviso il cuore del disco è rappresentato al meglio dal binomio “Auciello”/”Malammore”, in cui il livello di pathos aumenta, con la seconda quasi interamente affidata alla voce implorante e sommessa di Ciro Tuzzi, accompagnata dalle dolenti carezze del violinista degli Afterhours.
A movimentare un disco forse sin troppo pieno di suggestioni e di lirismo, arriva la bonus track “Appriesso ‘e stelle”, orecchiabile e dall’attitudine brillantemente funky che ha il pregio appunto di alleggerire il tutto, distinguendosi ma senza far venire meno il senso di omogeneità che permane intatto in questo brillante “Enea”.