Dopo l’EP “Non è vero che non ho più l’età ” pubblicato nel 2016 su Bandcamp quasi per gioco e in un secondo momento notato e distribuito da V4V, i Quercia avevano generato interesse e attese nel panorama underground italiano. Passati un po’ più di due anni debuttano ufficialmente col loro primo LP, continuando a lavorare in modo indipendente.
Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo. Basterebbe il titolo per recensire questo disco. Il tema dell’album è chiaro, il concetto di perdita e mancanza viene osservato da numerose prospettive sotto una lente emotiva sempre ben calibrata.
Si parte spesso dalla mancanza e dal vuoto lasciato da un’altra persona per poi analizzare la perdita di se stessi, di uno scopo, di un senso. Le immagini evocate dai testi sono abbastanza personali da risultare credibili e organiche, ma non troppo da alienare l’ascoltatore, che invece ha modo di potersi relazionare e far sue le parole.
Anche il connubio col cantato e con la parte sonora, dove la band sarda picchia più duro rispetto al primo EP, non stona mai. Gli arrangiamenti e le scelte musicali contribuiscono al racconto e alla comunicazione.
Un lavoro così basa la sua riuscita sul coinvolgimento emotivo che è in grado di creare e i Quercia assestano numerosi pugni allo stomaco.
Il primo viene da “Torri”, dove sono le certezze, le aspirazioni e l’ingenuità della nostra parte più infantile a venire a meno, in favore del cinismo dell’età adulta: “tutto sembra cadere, niente sembra accadere”. Urlano anche di una libertà persa, dove non si può essere ciò che si vuole. Il minuto di outro strumentale è la ciliegina sulla torta di una traccia davvero riuscita.
“Capolinea” è il perfetto esempio di come il gruppo riesca ad accordare l’intensità sonora a quella emotiva. La canzone inizia tranquillamente riflettendo su quanto si stia più serenamente dopo aver mollato il peso di quella che potrebbe essere un’altra persona, per poi andare nel panico dopo aver constatato che quel vuoto crea instabilità e insicurezza. Il successivo interludio strumentale “Altalena” chiude uno dei punti più alti del disco.
Ma il momento migliore è la combo finale “Bivio”-“Ridevamo”. La prima esprime tutta la paura e l’angoscia delle occasioni mancate. La perdita in questo caso è dell’ignoto, di un potenziale miglioramento.
Mentre la seconda è la canzone più viscerale del disco. Il verbo al tempo imperfetto e una carrellata di immagini di ricordi di cose che non sono più come prima sono la rappresentazione finale di tutta la malinconia contenuta in questo lavoro.
Paradossalmente “Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo” non è un album negativo. è un album consapevole che lavora sull’introspezione senza piangersi addosso. Come dicono loro “Forse, in sintesi, abbiamo solo iniziato ad accettare che nessuna perdita sarà mai l’ultima per nessuno“.