Facile parlare ora di Giorgio Poi, dopo cose come la collaborazione con Calcutta (finita in coda a quest’album) o il tour dell’estate scorsa con i Phoenix: più raro poter dire di averlo visto crescere artisticamente, prima con i Vadoinmessico, poi con i Cairobi, poi perderlo un po’ di vista (ma mai troppo) fino a ritrovarlo col suo primo secondo album, come dice lo stesso cantautore di origine novarese, appellativo al quale forse non tutti legano l’excursus passato di cui sopra.
Aggiungo: il primo secondo album è ancora più complicato quando il primo primo album ha attirato attenzioni come mai prima nelle precedenti esperienze, vissute tra l’Italia, Londra e Berlino. Certo, il terreno mai come adesso è stato così fertile (finchè reggerà ?) per la nouvelle vague di cantautori (…) tricolori: c’è da seminare il più possibile, chè la resa sembra quasi garantita; e perchè no, un bel tappetto di synth oggi è tornato di moda più che mai: stendiamolo questo tappeto allora, non si sa mai. E già che ci siamo, abbigliamento hipster/normal chic primissimi anni 90 e testi assemblati con alcuni abbinamenti ai limiti di quel nonsense che magari invece qualcosa sottintende o ti vuole dire, e fa molto figo, quasi come fosse una risposta all’intellettuale da salotto o al poetucolo di turno.
Finite le critiche, i pregiudizi, il bagolare tra maldicenza ed abbassare il livello a tutti i costi? Sì.
Perchè nel mentre Giorgio Poti fa il Giorgio Poi. E lo fa non perdendo, a prescindere da tutto, le sue personali e peculiari caratteristiche. Certo, sembrano parecchio lontani i viaggi nel folk esotico, a tratti caleidoscopico e latineggiante, con i Vadoinmessico, ma sono ancora i pensieri, le frasi, i piccoli momenti di vita a finire dentro le canzoni senza avere la pretesa di creare piccoli, effimeri, inni stagionali o ritornelli killer come qualche collega del “movimento” cerca di fare a tutti i costi.
La voce è sempre la stessa, un misto tra vocoder e bicchiere di plastica da compleanno appoggiato sopra il microfono (ma il Nostro assicura che sia naturale), il songwriting ancora istintivo nella sua semplice genuinità da anti-poeta e anti-chanssonnier, il corredo sonoro spazia nel sintetico a tinte lievi ma non dimentica di pescare, e con questo ancora anche l’aspetto melodico, in decenni e decenni di musica pop, a tratti addirittura da sigla di cartoni animati anni 80, specie di matrice italica: perchè se dallo stivale si cercano traiettorie esterofile, quando si vive tanto fuori confine si finisce per apprezzare molto di più quello che il paese natio ti ha dato, pare.
“Smog” funziona bene, senza particolari scossoni, tra alti e bassi comunque non trascendentali, nel bene o nel male. Era lecito aspettarsi qualcosa di più da Giorgio? Forse sì, ineluttabile impostazione dell’ascoltatore medio e dell’essere umano tout court. Era difficile, si sapeva. Poi, pensi a quello che c’è in giro, e allora ecco che anche questo primo secondo disco diventa comunque un qualcosa di buono, da accogliere positivamente.
Sperando che il primo terzo disco innanzitutto abbia una genesi, e con quella, possa davvero soddisfarci del tutto trovando una qualche maggiore profondità senza snaturare, quello no, i tratti distintivi e peculiari dell’artista.