Album numero 18 per il “berlinese” Anton Newcombe, ovviamente sotto il marchio The Brian Jonestown Massacre. A cosa andremo incontro questa volta? Beh, ne più ne meno che al classico (ultimo) sound del nostro.
La domanda è sempre quella: volevate cambiamenti radicali e sperimentazioni o vi va bene andare sul sicuro? Quanto ho detto sopra vi farà capire la strada intrapresa, che, alla fine, è quella più morbida e meno estrema, che ultimamente al nostro Anton va più che bene. Popedelia che pesca negli anni ’60, vibrazioni acustiche che emergono spesso, chitarre in odore di Byrds psichedelici che si muovono liquide e circolari, ritmi mai troppo elevati che diventano ipnotici e l’organo hammond che avvolge il tutto, con il suo suono inconfondibile. Le melodie? Beh, ci sono, tranquilli.
Nuovo disco senza particolari novità quindi o, meglio, (sopratutto quando partono gli assoli allucinogeni) nuova iniezione dosata e calibrata di una droga ben conosciuta che entra, gradulamente, in corpo per stordirci e farci perdere il contatto con la realtà e, ogni tanto, un simile effetto non può che farci bene (e vi assicuro che nel brano cantato da Rike Bienert il paradiso è davvero a portata di mano).