Ho scoperto Fil Bo Riva un anno e mezzo fa circa, per puro caso. Stavo scrivendo un articolo e in sottofondo avevo una compilation di Spotify di musica internazionale, genere se così si può definire, “elettro-indie” o qualcosa di simile, in ogni caso era molto eterogenea e andava dagli Air agli Zero7 a Badly Drawn Boy, con in mezzo molta roba contemporanea, ultra moderna. Al solito, tendendo l’orecchio mentre scrivevo, quando non conoscevo un pezzo o l’autore in questione andavo alla ricerca di chi fosse e tal FIL BO RIVA, scritto tutto in maiuscolo, oltre a suonarmi un po’ bizzarro, lo ammetto, davvero non lo avevo mai sentito.
Dopo breve consultazione, scoprii che era davvero all’esordio, la canzone in questione era “Like Eye Did” e, insomma, suonava benissimo. Fatto sta che poi volli saperne di più, di questo ragazzo romano che proponeva un sound così internazionale, tra l’altro cantando in inglese in maniera assolutamente credibile. E mi innamorai all’istante del ritmo incalzante di “Franzis” e del suo video giocoso e vivace.
Il suo nome nel frattempo è lievitato e giustamente le attese per il suo disco d’esordio sono anche rilevanti, in quanto Filippo Bonamici non ha sin qui sbagliato un colpo. Dicevamo della sua pronuncia impeccabile e di un cantato alquanto sicuro ma a colpire è soprattutto la sua voce calda e profonda, l’eclettismo a livello musicale e una spiccata personalità a fronte dei suoi 26 anni. Emigrante in musica, se è vero che ha vissuto a lungo in Irlanda e che da anni risiede a Berlino, dove si è formato culturalmente e musicalmente, ma adesso desideroso di essere anche profeta in patria.
“Beautiful Sadness” giunge quindi a farci scoprire qualcosa di più di questo autore, che dai suoi primi Ep usciti nel 2016, è maturato soprattutto a livello compositivo, laddove i testi sono ancora per lo più incentrati su tematiche amorose, seppur non declinati in modo banale.
Deve la sua riuscita miscela sonora, tra pop, indie ed elettronica, all’incontro in terra germanica con il chitarrista Felix A. Remm e il produttore Robert Stephenson, che hanno contribuito a far sviluppare nel modo giusto le idee del Nostro.
Anticipato da ben sei estratti, il disco conta di 13 canzoni, compresi i brani di apertura e chiusura (“Sadness” e “Beautiful”, a comporre il titolo dell’opera, a mo’ di chiasmo) per una durata che rasenta i 60 minuti: un disco insomma “pieno” ma non esagerato nel minutaggio, come a condensare nel migliore dei modi le intuizioni e l’urgenza creativa dell’autore.
E’ un album che sa bilanciare bene le varie atmosfere, passando da momenti al più introspettivi e lunari (per non dire mesti, come nel caso della traccia d’apertura) ad altri decisamente più movimentati ed energici, sempre però denotando una classe interpretativa sopra la media e un buon gusto negli arrangiamenti, sia che ad emergere siano le chitarre (in una brillante e innodica “Time Is Your Gun” o nella melodica e ariosa “Blindmaker”), che le tastiere elettroniche o i pianoforti, come nella vibrante “Head Sonata (Love Control)”, in una “L’Over” tra le migliori del disco e soprattutto ne “L’impossibile”.
Questo brano merita una nota in più, essendo in pratica il primo tentativo (assai riuscito, secondo me) di esprimersi in italiano, seppur alternandolo all’inglese. Il risultato è davvero significativo, con la canzone che riesce al contempo a figurare come assolutamente moderna a livello di sound e legata tuttavia in maniera netta alla tradizione della migliore canzone d’autore italiana, quella dei Sergio Endrigo, dei Luigi Tenco.
Non ha paura insomma Fil Bo Riva di mettersi alla prova in queste vesti cantautorali più classiche, lo fa anzi con piena naturalezza e con padronanza. Un singolo che non passa davvero inosservato e che apre scenari diversi, anche se sarebbe auspicabile, visti i consensi che è già riuscito a ottenere all’estero grazie a partecipazioni ad alcuni importanti eventi internazionali o come supporter ad autentici big, che non abbandonasse prematuramente la lingua inglese.
Merita una citazione nel contesto di un disco che in ogni caso, pur rallentando qua e là la tensione emotiva, non presenta episodi trascurabili, la lunga “Different But Now”, che suona un po’ come un Bignami dell’autore, in quanto in 9 minuti riesce a riassumere bene le sue varie istanze espressive e musicali, cambiando più volte registro e citando in pratica sè stesso (infatti ad esempio riprende a un certo punto l’inciso della trascinante”Go Rilla”).
La sensazione è quella di trovarsi dinnanzi a un talento raro nel panorama indie nostrano, e che Fil Bo Riva abbia tutte le possibilità per ben figurare anche all’estero, specie in Germania, patria che come detto lo ha un po’ adottato e che lo ha seguito calorosamente sin dalle sue primissime esperienze artistiche.