E’ venerdì sera e, dopo il nostro passaggio al Mikasa per vedere il concerto di Sleap-e, ci precipitiamo al Covo Club per assistere all’unica data italiana di Jessica Pratt, che arriva oggi per la prima volta nel nostro paese.
Il suo terzo e breve disco (meno di mezz’ora), “Quiet Signs”, uscito a febbraio via City Slang e co-prodotto dalla stessa musicista californiana insieme ad Al Carlson (Weyes Blood, Zola Jesus, Quilt), è stato sicuramente un buon biglietto da visita che ha confermato quanto di positivo era già stato scritto su di lei in passato.
La minuta bionda californiana sale sul palco della storica venue di viale Zagabria, quando l’orologio segna le undici e un quarto accompagnata solo dalla sua chitarra e da un tastierista e immediatamente iniziamo a immergerci nelle sue particolari atmosfere.
E’ “Wrong Hand”, estratta dal suo sophomore, “On Your Own Love Again” (2015), ad aprire la serata: la strumentazione è minimale e lascia spazio a quella sua voce nasale, che diventa la vera protagonista. Dietro alla dolcezza, si nascondono tinte scure e spettrali, ma il suo punto di forza è la calma delle sue meravigliosi composizioni.
La malinconia di “Poly Blue”, una delle nostre tracce preferite dal suo nuovo LP, è comunque superata dalla sua leggerezza e da quella sensazione di ritrovarsi in mezzo alla natura; la successiva “Opening Night”, quasi completamente strumentale, è invece totalmente contemplativa, mentre “Here My Love” regala attimi di delicatezza, intimità e gentilezza, ma non sa nascondere quel suo leggero strato di malinconia.
“Moon Dude” sembra essere l’unica canzone ad avere un suono un po’ pieno stasera, poi il concerto si chiude con la breve “Titles Under Pressure”, dal suo omonimo primo album, che riesce a mettere insieme perfettamente la tristezza e la dolcezza che rappresentano Jessica.
Sono passati circa cinquanta minuti e la mezzanotte è appena passata, ma le sensazioni minimaliste che la Pratt è stata capace di donare, pur nelle sue atmosfere buie, sono sicuramente forti, personali, aggraziate e, anche per merito di un pubblico corretto e silenzioso e di un suono più che buono, sono riuscite a entrare nei cuori dei presenti.