Inafferrabili Blankenberge. Ti scivola fra le dita il loro sound, come sabbia e tu li, disperatamente, a cercare di tratternerli, di dare concretezza a qualcosa che è talmente bello e pure che non può avere una forma, perchè solo quella lo renderebbe, a sua volta, imperfetto. Che la batteria picchi duramente, che le chitarre disegnino trame oniriche o intensamente (e sfacciatamente) shoegaze, c’è qualcosa che sempre ci manca e in realtà è proprio quello che ci manda in paradiso: l’incapacità di comprendere l’assoluto, di capire esattamente come questi ragazzi di San Pietroburgo sappiano come entrare nel cuore e nella mente, come facciano a malmenarci e a sbatterci per terra con le loro folate chitarristiche, a farci piangere con la loro malinconia liquida e struggente…per renderci conto che non vorremmo finisse mai tutto questo. Non lo capiamo e gli ascolti si susseguono. L’incanto. Dio mio, questo è l’incanto.
Esce così il disco dei Blankenberge, con un loro annuncio, pochi giorni fa, che ci avvertiva della pubblicazione. In punta di piedi. Come per non disturbare. Sapendo benissimo che stiamo aprendo la porta a un ospite che non lasceremo più uscire di casa.
Come dice il maestro Manfredi Lamartina, questo disco segna il punto di non ritorno, segna la nuova era in cui i paragoni si possono fare anche con le nuove band shoegaze e non più solo con i mostri sacri del passato. Ha perfettamente ragione. Un disco che diventa pietra miliare. Un disco che E’ UNA PIETRA MILIARE.