Tim Burton è al cinema con “Dumbo”, si Dumbo, l’elefantino che la Disney fece conoscere al mondo nel 1941, oggi è un film live action diretto dal regista americano. Ma non voglio parlare di “Dumbo”, no, anzi colgo l’occasione per un breve omaggio ad un talento che affascina con il suo stile da decenni tutti noi amanti di un cinema diverso. Sebbene, a parer mio, gli ultimi lavori abbiano perso verve, smalto e siano alquanto discutibili, il linguaggio e lo stile di Tim Burton meritano rispetto e attenzione con la riscoperta di alcuni suoi film. Ne menzionerò giusto tre anche se la cosa è alquanto complicata. Scontata la grandezza di Edward Mani di Forbice, di cui non parlerò, preferisco porre sotto i riflettori innanzitutto la prima opera che dà a Tim Burton visibilità internazionale e definisce le caratteristiche che negli anni ritroveremo sparse qua e là nella sua produzione. “Beetlejuice”, film del 1988, è un concentrato brillante di commedia, horror, sarcasmo e favolismo inquietante. L’amore per i temi tetri e grand guignoleschi si fonde perfettamente col kitsch e si esalta nel grottesco. Il talento di Tim Burton nel narrare le bravate dello sboccato, ma irresistibile bio esorcista impersonato da un Michael Keaton di superiore livello, è condensato nell’invocazione e nell’apparizione nel plastico:
«Dite il mio nome, ditelo due volte e alla terza io arriverò! »
ma sopratutto nell’assurda sequenza della cena al ritmo del pezzo di Harry Belafonte sotto gli occhi di una deliziosa e Siouxsiana Winona Ryder.
Un film a basso costo con trucchi volutamente grezzi da film quasi anni 50, spalanca le porte delle grandi produzioni e Tim Burton può concedersi l’onore di reinterpretare l’uomo pipistrello più famoso del mondo. Il primo Batman è notevole, ma il secondo del 1992, impreziosito dalla presenza di una Michelle Pfeiffer/Catwoman di rara bellezza e sinuosità , da un Christopher Walken/Max Schreck sempre viscido e ignobile a dovere come solo lui sa essere, prende maledettamente quota con la figura del Pinguino alias Danny de Vito. L’abilità di Burton nel descrivere i freaks, i diversi, gli scarti della società , trova nel Pinguino la sua immagine perfetta. Il villain contro il quale Batman dovrà fare i conti è un reietto, un maligno essere; simile più a un direttore di circo, ad un fumetto vivente, così surreale da risultare perfetto nella sua camminata e in quell’ombra inquietante proiettata sulla parete della galleria del sistema fognario di Gotham. “Batman Returns” è dark, malato, fascinosamente retrò in certe cose e allo stesso tempo sgargiante e velatamente sexy.
Da “Batman Returns” in poi, la parabola del cineasta di Burbank è piena di pietre miliari. “Mars Attacks” paga debito alla fantascienza fracassona e giogionesca degli anni 50 e 60, un film ricco di trovate e volutamente dissacrante, “Ed Wood” è doloroso e sincero, finanche crudo nel mostrare senza filtri Edward D. Wood, cineasta coraggioso e dimenticato al quale Tim Burton ha sempre detto di ispirarsi. Film di spessore impreziosito anche dall’interpretazione di Johnny Depp che dopo “Edward Mani di Forbice” fornirà una serie di interpretazioni di assoluto valore. Gotica, inquietante, ricca anche di thrilling è la favola de “Il Mistero di Sleepy Hollow” del 1999, horrorifico giallo in costume che riprende in chiave più marcata i sapori e gli umori di “Beetlejuice” e “Edward Mani di Forbice” pagando dazio e omaggio alle produzioni della Hammer il tutto immerso in uno scenario da Biancaneve dark.
“Sono abbattuto dalla ragione! è una lezione dura per un mondo duro, imparala bene giovane Masbath! L’infamia ha molte maschere, nessuna piu pericolosa della maschera della virtù”
Potrei dire ancora tanto, ma mi limito a parlare di una pellicola sola, ancora una. “Big Fish” del 2003, fiaba delicata, sognante, a tratti autobiografica, dai colori scintillanti eppure così scura in alcuni momenti. Qui Tim Burton dosa sapientemente l’estetica anni 50 e 60 (ancora, si) e il suo gothic humor nella rappresentazione della casa della strega e dei freaks (si, anche qui). Freaks molto più umani, molto più veri e “normali” dei normali.
Photo: Georges Biard / CC BY-SA