Ho perso il conto dei concerti dei TARM che ho visto nel corso degli anni. Attraverso Via Valtellina e mi passano davanti agli occhi fotogrammi di vita. Ricordi indelebili di canzoni cantate a perdita di fiato, di baci, amori vissuti o solo immaginati, risate e lacrime.
Arrivo davanti all’Alcatraz e incrociare numerosissime maschere bianche, altri “allegri ragazzi morti” come me, mi fa avvertire un senso di appartenenza ad una comunità allargata che non ha limiti di età , genere e colore. Un rito che si ripete. La certezza di vivere, anche questa sera, una festa collettiva
Li avevo salutati a fine gennaio a Milano, in occasione dell’uscita del loro nuovo album “Sindacato dei Sogni”, arrivato a tre anni da “Inumani” e pubblicato per la Tempesta, etichetta indipendente fondata proprio dai Tre Allegri Ragazzi Morti. Un omaggio al rock psichedelico, il titolo è la traduzione di The Dream Syndicate, il gruppo californiano fondato da Steve Wynn. Un disco incredibilmente ispirato che ha in se qualcosa di poetico e rivoluzionario: la rivendicazione del diritto di sognare, oggi più che mai.
Davide Toffolo, Enrico Molteni, Luca Masseroni e Andrea Maglia salgono sul palco alle 21.45, puntualissimi. Si parte forte con “Caramella”, “Calamita”, “Bengala” e “C’era un ragazzo che come me non assomigliava a nessuno” con il sax infuocato di Andrea Poltronieri che arriva sul palco.
Il processo di liberazione è iniziato, il pubblico balla, canta ed esplode su ogni pezzo. Su “Una ceramica italiana persa in california”, brano incredibile che chiude il nuovo disco, la percezione è quella di un fluido magico, il pubblico canta “io amo te, fai pure quel che vuoi che a me va bene” , sembra una dichiarazione d’amore e di fiducia verso i Tre Allegri. Un legame primordiale e autentico che viene rinnovato ad ogni concerto. L’emozione cresce e i cuori si dilatano definitivamente con “Difendere i mostri dalle persone”.
Si capisce bene che il ritorno alle origini nei suoni è solo apparente, psichedelia, beat anni ’60, wave anni ’80, digressioni prog e rock squisitamente poetico si fondono alla perfezione. Prova che i Tre Allegri Ragazzi Morti restano “un laboratorio di comunicazione” che ricerca nuove forme e ha sempre lo sguardo rivolto al futuro, come ci ha ricordato Davide intervistato da noi qualche giorno fa .
Al loro venticinquesimo “Giro d’Italia” sono più carichi e in forma che mai, la scaletta stupisce e manda in delirio tutti i presenti con pezzi come “I cacciatori”, “Alle Anime Perse”, “Persi nel telefono”, “Il principe in bicicletta”, “Puoi dirlo a tutti”, “Codalunga”.
Un attimo di respiro, solo il tempo per accordare la chitarra di Toffolo che chiede l’aiuto del pubblico e scherza “Cazzo, siete l’unico pubblico con l’orecchio assoluto che abbia mai trovato”.
Si riprende con “Accovacciata gigante” un pezzo che mi ha fatto emozionare dal primo ascolto, scritta a due mani con Mattia Cominotto degli Od Fulmine, un viaggio psichedelico “un esperimento ben riuscito che da uno sviluppo quasi cinematografico al brano, con una visione dapprima realistica e che poi diventa completamente onirica nella seconda parte” come ci raccontava Davide nella nostra intervista. Una ballata in tipico stile TARM con “AAA cercasi”, con “Quasi adatti” e “Voglio” veniamo catapultati a come si suonava nel ’94. “Il mondo prima” e la band si ritira dietro le quinte.
I richiami di rito non si fanno attendere e i Tre Allegri escono per ben due encore. C’è tempo per una dedica a Milano con “In questa grande città “. “La mia vita senza te”, “Di cosa parla veramente una canzone” e i grandi classici “Mio fratellino ha scoperto il rock’n’roll”, “La tatuata bella” senza strumenti cantata a perdita di fiato dal pubblico. A chiusura di due ore generosissime “Mai come voi” e “Occhi bassi” .
Una capacità comunicativa unica, semplice e disarmante. La voglia di giocare e divertirsi. I Tarm restano i paladini dei sentimenti veri e sinceri. Sanno curare i cuori e lo sanno fare parecchio bene.