Chiudete gli occhi, immaginatevi d’essere all’interno di una stanza vuota, con una sola finestra che mostra il mare e un giradischi con solo “LP5″….come vi sentireste?
Forse, ascoltandolo, vi potreste sentire in una dimensione di pace apparente, ma pronta a cambiare in qualsiasi momento: più o meno questo ho percepito nel nuovo disco di Apparat e questa è la sensazione che mi ha avvolto lungo tutto l’ascolto. Uno di quei dischi che ti fa entrare in sintonia con la tua essenza, con il tuo vero essere. Non è poco, dobbiamo dirlo.
La formula dei suoi pezzi non cambia, una sorta di ambient IDM molto particolare ma che ha non evolve tantissimo, non che sia un male…è un processo lento, che non ti fa certo rimanere spiazzato al primo ascolto.
Una delle cose che ho apprezzato particolarmente sono le parti di batteria, un po’ alla Aphex Twin, messe nel punto giusto al momento giusto. All’interno di “LP5” mi son scontrato con parti di basso (intendo basso elettrico, non quello “simulato”) molto calzanti e sezioni di fiato e viola sparsi qua e la, che sembrano quasi irrilevanti, per un utente medio, ma posso assicurarvi che non è affatto così: perle, davvero.
Pezzi validi? Certo, c’è ne sono, non tutti, però quello che basta per farmi apprezzare l’album. Opere come “Brandenburg” sembrano una strana unione tra James Blake, Steven Wilson e gli Alt_J e nell’insieme ho apprezzato parecchio, oppure “Caronte”, molto orchestral pop, molto godibile.
Magari vi chiederete perchè non ho dato un voto molto alto visto che, comunque si parla di un lavoro positivo? Beh, la ragione è che, al di là , come dicevo sopra, di un aspetto emotivo che viene toccato (non sempre), forse non c’è lo sperato “stravolgimento” dal punto di vista sonoro, ci sono delle piccole variazioni che che non ti fanno dire il “WOW” desiderato.