Scrivo questa recensione mentre ho ancora bene impresse nella memoria le immagini delle fiamme che alte si alazano dal tetto della cattedrale di Notre Dame. Ero a Parigi e per pura coincidenza stavo chattando con amici, scattavo foto di Piazza della Concorde mentre mi dirigevo verso il Louvre. Nel frattempo scrivevo che Notre Dame era il luogo più bello, che era il monumento numero uno, forse perchè ho un debole per le cattedrali. A chi mi suggeriva di andarci a lavorare come custode avevo risposto che il mio obiettivo era invece di celebrarvi la Messa di Natale. Dalle foto che ho scattato all’interno del Louvre si vede il fumo giallo che sale da dietro il Palazzo. Incuriosito sono uscito dalla parte Est per capire da dove provenisse. A pochi metri, attraversata Quai Mitterand, sul Pont du Carrousel ho capito che stavo assistendo a quell’azione del fuoco che tutti noi più temiamo, quella distruttrice. Mentre, più tardi rientravo in hotel mi era tornato alla mente l’attacco di London’s Burning dei Clash, si sa, il nostro cervello ragiona per associazioni, spesso in modalità insensata. Per terminare il richiamo alle coincidenze ed alla mia recensione scopro che il primo brano dell’album dei Brutus s’intitola “Fire”. Visto che la band belga non può considerarsi tra le più famose in circolazione, una piccola presentazione può solo far loro giustizia. Non sono all’esordio. Il loro primo album “Burst” risale al 2017 ma la formazione della band risale a quattro anni prima. Stefanie Mannaerts è il luogo dove i nostri sensi sono attratti quando ascoltiamo la loro musica.
Tanto per cominciare non dobbiamo sforzarci molto per definirla: Hardcore, Post Hardcore, Metal, Post Metal, Alternative Rock, Progressive Rock, Black Metal e qui mi fermo. Sono stati in tour con Chelsea Wolf, Russian Circus e come dice quel detto “dimmi con chi vai…”. Dicevamo di Stefanie. Lei non solo canta come Bjork per poi impennarsi in un cantato urlato ma sempre “pulito e nitido”, lei è anche la batterista del gruppo. Ricordo quando da giovane, al bar, si parlava di musica ed i ben informati tessevano le lodi a Phil Collins, capace di suonare la batteria e contemporaneamente cantare. Bene, Stefanie lo fa con una voce straordinaria e maltratta lo strumento a percussione con una tecnica ed una cattiveria tale che il buon Phil si recherebbe nel camerino, dopo un concerto, con un mazzo di rose rosse supplicandola per un autografo, ci scommetto. “War” è il brano ideale per farsi un’idea di quello che questa ragazza fiamminga è capace. Peter Mulders è l’altro componente della sezione ritmica. Talentuosi, freschi, capaci di variazioni di ritmo ed intensità come nella stupenda “Cemetery” che può far innamorare anche quelli che preferiscono sonorità più quiete o meno legate al sapore acre del metallo puro. Come se non bastasse Stijn Vanhoegaerden, il chitarrista, ha un’abilità inconsueta, non deborda mai nel tecnicismo fine a sè stesso ma i suoi ricami, a volte di fioretto a volte di clava, sono sempre efficaci e pertinenti.
Non credo riuscirò mai a celebrare una Messa a Notre Dame: sono sposato, in là con gli anni e suppongo servano decadi per concretizzare un’eccellente carriera ecclesiastica. Viceversa, credo che i Brutus abbiano concrete possibilità di diventare una band di cui sentiremo molto parlare, hanno creato uno stile, una fusione di vari generi esaltandone le sfumature. Undici brani che si susseguono senza cali, la qualità rimane sempre alta fino alla chiusura lasciata a “Sugar Dragon” che diventa la vetrina perfetta della loro, passatemi il termine, splendida opera.
Foto Credit: Eva Vlonk