Fabrizio De Andrè è cantato da tutti, è l’anello di congiunzione di ogni scena, genere e musicalità . La constatazione è chiara e mostra De Andrè come un portale, un’idea che unisce e allo stesso tempo scorpora ogni idea che abbiamo di pop, popular music, mainstream, cantautorato.
L’enciclopedia più famosa, almeno per la nostra lingua, la Treccani, parlava del cantautorato e della canzone d’autore come un genere: “nuovo e autonomo”: De Andrè in quel filone ha raccontato una città , l’emarginazione sociale e quella umana, e l’ha fatto esattamente con quella novità e autonomia che un autore della canzone italiana dovrebbe avere, anzi possedere nel DNA, come assetto ontologico.
La nuova “scena” italiana con “Faber Nostrum” ha teso un ponte sulla figura e sull’opera di De Andrè, per connettere idealmente il passato al futuro, anzi al contemporaneo.
L’obiettivo, per gli artisti, era quello di proporsi e misurarsi con delle rielaborazioni, capaci di accendersi nella smisurata e complessa leggerezza di Fabrizio.
Lo spirito che si è percepito dalla presentazione a Roma al Mercato Centrale, non è stato quello di celebrare una messa, un rito religioso, ma piuttosto quello di creare una jam-session che ha come sfondo il futuro, il presente e il passato della musica d’autore italiana.
“La Canzone dell’Amore Perduto”, interpretata da Colapesce, anche durante il live, si presenta come uno degli esempi più riusciti e centrati del lavoro, capace di tingere di agrodolce la disperazione, rendendola leggera, al limite del sognante. Altro grande colpo nel disco è tirato fuori dai Ministri, che con “Inverno” reinventano il pezzo nel sound, senza però snaturare l’idea e il calibro originale. Anche The Leading Guy, non abituato a cantare in italiano, è riuscito a scomporre e rimontare “Se Ti Tagliassero a Pezzetti” in un modo sicuramente non canonico e forse, anche per questo, più apprezzabile.
In questi giorni, dopo l’uscita del disco, si è accesa una caccia ai “profanatori” di De Andrè, con un’attitude molto democristiana e per spezzare una lancia a favore di tutti (ma proprio tutti) va ricordato che in fin dei conti questi artisti si sono messi in gioco con un personaggio in cui il confine tra biografia e agiografia è sottile. Per questo è inutile tendere, solo per oggi -non abituatevi- l’arco della polemica e scoccare frecce infuocate (come quelle di Arya nell’ultima puntata di GOT).
Tocca a questo lavoro aprire, una volta per tutte, un varco che tolga quell’alone di intoccabilità a figure come De Andrè, Battisti ecc., e non dico questo per irriverenza o poco rispetto: è fondamentale che per un musicista confrontarsi con un autore così debba essere appagante e non un peso, una gogna mediatica.
De Andrè come ogni autore, poeta e artista, ha bisogno di una gestazione intellettuale e di un’attesa artistica che in operazioni del genere non è sempre realizzabile, per via di tempi stretti e formati da rispettare.
Bello come alla fine della presentazione sia stato possibile sentire direttamente tutti questi artisti confrontarsi con i brani in un live acustico: interessante il set de La Municipal, che interpreta tutto con una mediterranea saudade e una attitude acustica ammirevole.
Nota di merito per l’interpretazione (anche in live) va a Fadi, che ha rivestito e confezionato una versione di “Rimini” rendendola tra tutte il pezzo più sentito, emozionale e anche in un certo senso duro da digerire.
La figura di De Andrè, anche con un lavoro e uno studio del genere, deve infondersi in tutta la canzone italiana per ricordare a ogni artista che bisogna trovare/inventare parole nuove e una diversa cifra stilistica e sonora per raccontare il mondo di oggi.
La cifra stilistica di “Faber Nostrum” è molto pop, un anello di connessione tra De Andrè e un nuovo pubblico: tutto ciò è un ponte, in fin dei conti, necessario per portare l’opera di De Andrè “oltre il confine stabilito”.