Che la credibilità della prima straordinaria serie e, in parte, della seconda ce le potessimo dimenticare era chiaro da tempo.
La quarta stagione di “Gomorra” conferma l’andazzo intrapreso sul finale della terza stagione, che rovinava tutto quanto intessuto nei primi episodi in un season final dove cadevano teste di boss storici come piovesse e le alleanze duravano una mezzoretta. In questa stagione le alleanze durano ancor meno, la fotografia plumbea, un tempo landmark funzionale alla raffigurazione dei territori preda della criminalità , è oggi puro vezzo, esasperato in lunghe ed estenuanti sequenze di viaggio notturno che connettono un dialogo forzato all’altro tra camorristi che sprecano metafore come fossero poeti romantici.
Un’efficace metafora della credibilità della serie sono i treni della vesuviana, che passano in piena notte, tanto puntuali da salvare la vita ad attentatori maldestri. Così puntuali che invece che Gomorra sembra Utopia, quella di mille pendolari e studenti che bestemmiano ogni giorno treni soppressi e lenti.
Interessanti, ma ormai estemporanei ,sono gli episodi, tipici delle prime serie, dedicati invece che ai protagonisti a modus operandi della camorra, che qui vediamo scaricare rifiuti abusivamente, smaltire illegalmente cadaveri, infiltrarsi in politica, imprenditoria edile e alta finanza.
Anche la scelta degli attori non è più brillante come un tempo. Se il vecchio Levante è molto bravo a impersonare il camorrista di provincia vecchio stampo, i suoi figli fanno rimpiangere i meravigliosi O’ Sciarmant e O’ Stregon. Malissimo anche Patrizia e il fighetto vomerese Valerio, bravo e drammatico invece Enzo “Sangueblu”. Una certezza ormai Genny, vero pilastro.
Dopo dieci episodi caramboleschi e davvero poco credibili, salvano la serie, e il probabilmente il suo futuro, gli ultimi due. Riflessive, ineluttabili, le puntate 11 e 12 privano di speranza la favola d’amore di Patrizia e Michelangelo, vedono finalmente entrare in azione polizia e magistratura, da sempre grandi assenti della serie, e analizzano con durezza una scelta estrema come la latitanza.