di Enrico Sciarrone
Ricordo sempre con particolare emozione la prima volta che vidi, oltre 30 anni fa, i Dead can Dance dal vivo. Era il tour promozionale dell’album “Within the Realm of Dying Sun” che li consacrava definitivamente al grande pubblico. Non fu un semplice concerto, molto di piu’. Fu come assistere ad un rito religioso, ammantato di pathos e di emotività , incentrato attorno alla figura e alla voce ultraterrena di Lisa Gerrard che emanava un fascino quasi celestiale, accompagnata da un ombroso e intrigante Brendan Perry, suo degno sodale nel progetto. Nel buio totale, nell’obbligatorietà di un silenzio assoluto da parte del pubblico, rigorosamente seduto e non fumatore (come da disposizioni della band prima del concerto), emersero imponenti e impressionanti le voci (entrambi di formazione classica, lei contralto lui baritono), ma anche i limiti oggettivi nel riprodurre dal vivo sonorità , atmosfere, suoni dei brani dei primi LP, in cui il duo si avvaleva di vere e proprie orchestre da camera, sezione fiati e particolari strumenti a percussione.
Da quest’ultimo aspetto, ormai datato nel tempo, si può però cogliere forse l’elemento piu’ significativo, il motore portante di questo nuovo tour europeo dei Dead Can Dance “A Celebration Life & Works 1980-2019” che li ha visti esibirsi a Milano in due date, naturalmente sold out, al Teatro Arcimboldi. Una celebrazione dei propri quarant’anni di attività sempre prolifica, mai avvitata a se stessa, mai ruffiana verso i gusti del pubblico, ma sempre tesa coraggiosamente a sperimentare nuovi orizzonti e territori musicali, rendendo la band quasi inclassificabile come genere di musica. Già , perchè il loro rock gotico degli esordi si è evoluto, trasformato, percorrendo strade e generando commistioni con altri stili più diversi e lontani, per darne un senso sempre piu’ ampio: le sonorità medioevali, rinascimentali rilette e rielaborate in chiave rock, soprattutto nei dischi d’esordio, così come le introspettive sulla musica etnica e world music. Dalle tinte classiche dell’Antica Grecia, al Rinascimento Italiano, alle sonorità tribali. E per festeggiare degnamente, quale occasione migliore se non riprodurre fedelmente dal vivo finalmente queste sonorità , quasi come un omaggio al pubblico. Una nuova band di 8 elementi, l’introduzione delle tastiere ma soprattutto l’ausilio del computer, che ha riprodotto dal vivo archi e fiati, hanno permesso di eseguire per la prima volta dal vivo brani mai suonati.
Ed è stata l’apoteosi, sin dalle prime note di una splendida “Anywhere out of the world” estratta dall’album “Within the realm of”, che insieme a “Spleen an Ideal” e “The Serpent Egg” risulteranno gli album piu’ gettonati dalla band per questo viaggio nel tempo, con un crescendo incredibile di emozioni che ha ammaliato e stregato i presenti, (essenzialmente formato dai fan della prima ora), incredulo e beato nel riascoltare autentici capolavori nella loro fedele versione come “Mesmerism”, “In Power We Enstrust”, “Xavier”, “Yulunga”, “Cantara”, “Severance” ma soprattutto “The Host of Seraphim” dove Lisa Gerrard ha superato se stessa in una performance vocale da brividi, coaudivata nei cori, tra l’altro, dall’ottima tastierista Astrid Williamson, autentica sorpresa.
Anche stavolta molto piu’ di un concerto, il rito magico si è consumato nuovamente, in uno scenario di grazia assoluta che ha inebriato i presenti. I bis risulteranno solo due ma si sarebbe potuto andare avanti all’infinito dato l’entusiasmo del pubblico. Detto della band e dei nuovi strumenti tecnologici utilizzati per questo tour, a farla da padroni sono comunque sempre loro, Lisa e Brendan con le loro voci che non conoscono pause, cedimenti o declino, ne’, tanto meno, confini, ma che emozionano come sempre, arrivando ancora al cuore di tutti, in modo struggente.
I morti possono ancora ballare.