Sarà , ma comincio a pensare che la coccarda preventiva di next big thing porti più sfiga che altro: ogni volta che un gruppo o un artista viene fregiato di codesto distintivo, quasi inevitabilmente finisce per uscirsene con un lavoro deludente; saranno le aspettative che inesorabilmente diventano medio/alte, pur per un ascoltatore più o meno prevenuto. Anno scorso mi era successo con i Blossoms, per tacere di Greta Von Fleet e simili, oggi tocca ai The Amazons.
Va detto, dove il primo lavoro era più pop che rock, e di certo non rientrerà mai negli album che hanno scritto la storia della musica, qui il calibro si sposta su un voltaggio più alto: ma l’offerta è di rock a trame poppeggianti del più edibile, tirato a lucido, che si distingue solo per prevedibilità e scontatezza.
Qualche pezzo (“Doubt It”, “Mother”, “All Over Town”) cerca sì un qualche grado di spessore, ma a conti fatti tutto finisce per appiattirsi, se non addirittura accartocciarsi, su se stesso nella ricerca quasi esasperata dell’anthemico, del coro da stadio o almeno dell’aggancio memorabile, tra riff, schitarrate e falsetti; si prova anche a fare dello stoner à la QOTSA, quando non direttamente scimmiottare il rock più scolastico e consolidato di matrice anni 70: ma la personalità , questa sembra (ahi loro, e ahi noi) merce sconosciuta.
E quindi, come per i richiamati Blossoms e coevi, se siete alla vera ricerca della next big thing e dei salvatori del rock, l’esternazione per i The Amazons torna ad essere sempre la solita: ciao core.
Photo by Sarah Louise Bennett