Allora, ci eravamo lasciati, ormai l’anno scorso, con la recensione dei loro primi due album, che non erano male se tralasciamo qualche vistosa scopiazzatura qua e la (Tame coof Impala coof coof) ma recentemente è uscito il loro nuovo album e quindi, beh, direi di parlarne.
“And Now For The Whatchamacallit” (un nome un po’ più complicato no?) è il titolo di un album che non mi ha colpito. Perchè? Beh, La cosa è molto semplice. Non c’è stato quel doveroso salto sonoro in avanti. Siamo un po’ fermi alle soluzioni già sentite in precedenza e sembra di ascoltare una fusione tra “Innerspeaker” (esordio dei Tame Impala) con il cantato dei vecchi Arctic Mokeys ed una spruzzata di King Gizzard. Che detto così fa anche figo, ma resta sempre una personalità che non emerge mai.
Esempi? “Hymn for a Droid” riprende la voce di Turner, in “Native Touge” sembra di ascoltare proprio i primi Tame Impala, “When in Rome” riprende i giri di chitarra dei King Gizzard con ancora richiami evidenti alla formazione di Kevin Parker: insomma potrei citare altri millemila esempi ma, come nell’ “indovina chi?”, lascio a voi il compito di trovare il resto (buona fortuna).
Parliamo anche di qualcosa di positivo, che c’è, è giusto dirlo, al di là di evidenti limiti in fase di scrittura. “My Friend’s a Liquid”, cosa cazzo non è sto pezzo, è una mina, supercatchy e ben eseguito. Da questo brano potrebbe emergere la vera natura della band e qui m’incazzo, perchè per tutto il tempo sembra che mi prendano in giro e poi tirano fuori un pezzo del genere.
Ci sono altri due pezzi che mi son piaciuti, “Bill’s Mandolin” e “Digital Hunger”, davvero ben fatti, ma sono brani che, ancora, fanno emergere potenzialità poi non sfruttate a dovere nel resto del disco. Francamente non capisco perchè la gente li lodi così, sono bravi per carità , ma questo tentare disperatamente di assomigliare ad altre band alla fine, per me (e forse per altri), potrebbe essere una politica che non paga.