“Il tempo non si ferma non si è mai fermato e quello che è passato chissà dove è andato”.
Metti una notte a Milano con gli Zen Circus.
Le luci intermittenti di un aereo appena decollato, chissà com’è il colpo d’occhio da lassù. Il parco del Circolo Magnolia è gremito, una folla inesauribile lo ha occupato in ogni angolo. Sorrisi, abbracci, birrette in mano. Un’elettricità magica e contagiosa colora l’aria e ti si appiccica addosso prima ancora che le luci del palco si accendano e la festa abbia inizio.
Gli Zen si meritano tutto questo: vent’anni di carriera, dieci anni da quando ci hanno mandato tutti affanculo, oltre mille concerti, chilometri e chilometri di strada percorsi su e giù per l’Italia. Nessuna posa, niente hype, solo tantissimo sudore.
Sono da poco passate le 22 quando Appino, Ufo, Karim Qqru e il maestro Pellegrini salgono sul palco e ci regalano le prime esplosioni della serata con con “La terza guerra mondiale”, “Catene” e “Vent’anni”. Potenza salvifica del rock: riff di chitarre, pennellate di basso e martellate di batteria. Nessun trucco, niente ammennicoli sintetizzati e artefatti. L’unica regola che vale a un concerto degli Zen la sappiamo a memoria e ce la urlano all’unisono Ufo e Appino “Più voi fate casino, più noi facciamo casino”. Il pubblico risponde: cori, pogo, handclapping che dureranno per tutto il concerto.
La scaletta prosegue con “Il fuoco in una stanza”, “Andate tutti affanculo”, “Ilenia”, “I qualunquisti”, il nuovo singolo “Canta che ti passa”. Gli Zen corrono da un lato all’altro del palco, si scatenano e il pubblico con loro. Sinceri, diretti e scanzonati, impossibile non amarli.
Karim abbandona la batteria e scende tra il pubblico per “Ragazzo eroe”. L’infanzia se ne va, aneddoti autobiografici con “Figlio di puttana”; sul finire della canzone Ufo urla “E’ importante non perdere i propri sogni come disse Marzullo” e Appino risponde “L’infanzia non se ne va mai, stronzo”. Siparietti esilaranti ad ogni brano, l’ironia e l’irriverenza che non mancano mai, nemmeno nei momenti più riflessivi.
I ritmi sono altissimi, siamo sudati ma dannatamente felici. Con “L’amore è una dittatura” e “Nati per subire” ci danno la buonanotte; è una finta, pochi minuti, giusto il tempo di riprendere fiato dopo quasi due ore di concerto e prepararsi al gran finale.
“L’anima non conta”, occhi chiusi e smartphone al cielo, tra i momenti più intensi di un concerto strepitoso. “Fino a spaccarti due o tre denti”, “L’egoista” e l’esplosione definitiva con “Viva”.
Essere gli Zen Circus è dono di pochi, lunghissima vita a loro.