C’era una volta un concerto dei Parquet Courts. Magari in quel di Amsterdam. Una madre, di cui il buon gusto musicale non osiamo mettere in dubbio, porta la figlia Pip con sè al concerto. La giovane ragazzina resta talmente incantata dalla performance che decide di prendersi una chitarra, quelle a tre corde che usano i bambini, ed iniziare a suonarla. Nel giro di un paio d’anni scrive dei brani, li mette in rete e viste le tante visualizzazioni decide di formare una band, i Pip Blom, come il suo nome e cognome. A sei anni da quel concerto la ragazzina che oggi ha 23 anni ha già aperto le danze per band dai nomi importanti come Breeders, Franz Ferdinand, Bodega e Garbage. Messi sotto contratto dalla Heavenly, la band olandese arriva al debutto con l’album “Boat” dopo la pubblicazione di vari singoli ed un Ep. Registrato a settembre nei Big Jelly Studios di Margate sulla costa sudoccidentale inglese, l’album è stato poi mixato in un container per navi da Dillip Harris, questa volta a Londra, sulla riva del Tamigi.
Sin dall’open track “Daddy Issues”, singolo che con “Ruby” aveva preceduto l’uscita dell’album, possiamo identificare i Pip Blom come ottimi interpreti di un indie Rock con sfumature grunge dove il cantato di Pip ricorda Courtney Barnett, quell’incedere svogliato, quasi infastidito tipico della cantautrice australiana. A differenza dell’australiana. Pip, a dire il vero, sale con tonalità più alte, soprattutto nei ritornelli dove viene supportata dalla voce del fratello. “Say it” è uno di questi brani dove l’alternanza tra momenti delicati e dolci si contrappone all’esplosione nel ritornello ben introdotto dal crescere del ritmo nel bridge. Se “Bedhead” è caratterizzata da una base di batteria elettronica e dalla pacatezza, “Set of Stairs” è invece pura energia con una convincente interpretazione decisa e piccante.
La struttura dei pezzi si ripete secondo uno standard ripetitivo e ben collaudato. Anche se alcuni brani non faranno la storia del Rock, la qualità della scaletta rimane di buon livello grazie anche alla buona e pulita produzione di Dave McCracken.
Un buon esordio quindi, con una manciata di brani che – e lo dico con un pizzico di “imbarazzo” – adoro ascoltare in auto, al massimo del volume, con i finestrini abbassati ed il gomito appoggiato e ben sporgente.