Liberato è tornato con un disco che esprime ed estende al massimo le coordinate di una storia incredibile, tessuta con maestria.
La questione dell’anonimato, a margine del disco, è un sussulto, pura inquietudine artistica che si identifica con il fermento intellettuale di un progetto artistico unico.
Il racconto di una città come Napoli non culmina infatti nell’oscurità e nei cappucci sul palco, ma nell’idea di innovare, unire tradizioni, culture, scene e identità . Dopo mesi di silenzi interrotti ed esibizioni d’effetto abbiamo finalmente una traccia, una strada da seguire per parlare, in modo più completo, di Liberato e delle chiavi di interpretazione che un lavoro così capillare semina.
Il disco è uno sciame, una rete sociale, nella sua produzione non c’è un centro, piuttosto un flusso di racconti intrecciati e costruiti in una struttura di storytelling che si attorciglia con il tema di sfondo e fondo: l’identità napoletana.
L’appartenenza di Liberato a Napoli non è “una risorsa dell’ego” artistico del progetto, quanto piuttosto un’espressione social-musicale che si palesa in pezzi come “Oi Marì” o nella versione intimista di “Gaiola”, insomma Napoli è una caratteristica ontologica e intrinseca del suono stesso di Liberato.
L’esperienza al Sonar, dello scorso anno, è pienamente sintetizzata e giustificata nell’estrema ricercatezza di un brano come “Nunn’a voglio “‘ncutrà “. I sette minuti del pezzo avvicinano Liberato al concept e alla raffinatezza di artisti a livello globale: possiamo tranquillamente dire che un’ossatura come questa è unica nel suo genere per un artista italiano.
Un surrealismo geografico che regala un dipinto, uno scorcio, forse non reale a tutti i costi, di una città , di un territorio. “A me basta il fervore” diceva il pittore George Braque; Liberato si attacca proprio all’entusiasmo, al fervore di una ricerca sonora e artistica, nel senso più ampio possibile, che lega un non-volto a Napoli, che diventa un non-luogo perfetto.
La città si trasforma in un movimento dove non c’è epicentro ma un puro susseguirsi di situazioni, storie, racconti. Il panorama sonoro creato è rappresentativo di una tradizione che parte dalla canzone storica napoletana, passa nei suoni delle radio popolari del post-conflitto mondiale e arriva a Pino Daniele.
Liberato è l’identificazione geografica e sonora di un territorio. Non c’è più il bisogno di trovare una “carta d’identità ” da sfoggiare e attaccare al progetto, è più interessante notare come, il 22 giugno a ‘Roma Liberata’, ci sarà una vera tempesta di suoni nuovi che passa da progetti come Dengue Dengue Dengue, Bawrut o Napoli Segreta.
Il disco di Liberato è un’alchimia, una serie di codici cifrati e segreti che non fanno altro che custodire le chiavi adatte a rilanciare un binomio fondamentale per la musica e le arti in genere, quello tra innovazione e tradizione.