Per il suo quattordicesimo album Madonna ha deciso di nascondersi dietro un alter ego e indossare i panni della misteriosa Madame X, un agente segreto che gira il mondo per combattere al fianco degli oppressi e portare la luce ovunque domini l’oscurità . Una sorta di Carmen Sandiego che, invece di “rubare i laghi in Scandinavia e i cammelli del Sahara”, va ovunque ci sia bisogno di lei per portare pace e amore. Poco importa che lo faccia con la bocca cucita come un cadavere o la benda su un occhio, copiando lo stile della terribile Elle Driver di “Kill Bill”: nonostante l’aspetto a tratti inquietante, il suo unico obiettivo è fare del bene.
Recentemente le hanno affidato una missione particolarmente delicata in quel di Lisbona, la capitale del Portogallo. I suoni e l’anima multietnica della città hanno letteralmente stregato Madonna/Madame X; l’ospitalità e l’umiltà del popolo lusitano l’hanno convinta a staccarsi per qualche minuto da Instagram e tornare a produrre musica. La signora Ciccone riaccende l’antica passione per il pop latino in quindici tracce (la recensione fa riferimento all’edizione deluxe, in quella standard ce ne sono due in meno) che uniscono in maniera coraggiosa e non scontata elementi di pop, reggaeton, trap, world e dance.
Un considerevole passo in avanti rispetto a quanto fatto sentire negli ultimi anni, certo; ma sarà abbastanza per riportarci ai fasti di “La Isla Bonita”? Beh, non proprio. “Madame X” parte subito male con “Medellàn”: un’overdose di autotune e versi in spagnolo “cantati” in maniera particolarmente viscida dall’untuoso Maluma. Il tutto striscia via al ritmo sincopato del cha cha cha.
Convincono invece “Dark Ballet” e “God Control”, probabilmente due tra le tracce più audaci e sperimentali mai registrate da Madonna. Nella prima si diverte a mischiare i Daft Punk di “Harder, Better, Faster, Stronger” allo Schiaccianoci di Ciajkovskij; nella seconda ci infila dentro un bel giro di basso funk, gli archi sontuosi del Philadelphia soul e una parte rappata che deve moltissimo a “Wordy Rappinghood” dei Tom Tom Club. Peccato per l’eccessivo utilizzo di effetti sulla voce: l’apertura di “God Control” sembra essere stata cantata da un’Amanda Lear con uno straccio infilato in bocca.
Stesso discorso per “Future”, un buon brano reggae abbastanza tradizionale, e la tribale “Batuka”, nella quale Madonna letteralmente sparisce sotto tonnellate di effetti digitali. La patina artificiale che in buona parte avvolge “Madame X” toglie respiro e naturalezza a canzoni che, se fossero state lasciate spoglie, probabilmente sarebbero state nettamente migliori: le melodie gradevoli di “Crave”, “Crazy” e “Come Alive” vengono soffocate da una produzione moderna ma priva di personalità .
Le quasi impercettibili tracce di fado in “Killers Who Are Partying” (con tanto di ritornello interpretato in portoghese) e il mix di percussioni etniche e trap nella ballad “Extreme Occident” intrigano perchè si avverte la presenza di musicisti in carne e ossa. L’ipnotica “I Don’t Search I Find” non è un granchè, ma potrebbe piacere ai nostalgici degli anni Novanta di “Erotica”; “Looking For Mercy” e “I Rise”, poste rispettivamente in penultima e ultima posizione, vorrebbero recuperare il pathos di “Frozen” ma falliscono miseramente.
Se volete conservare un buon ricordo di Madonna e “Madame X”, skippate senza remore le tremende “Faz Gostoso” e “Bitch I’m Loca”: personalmente non ho pregiudizi, ma quando ci si mette il reggaeton può essere davvero abominevole.