Quanta dolcezza e quanta sensibilità in queste nuove canzoni di Bedouine. La fanciulla (vero nome Azniv Korkejian) si era distinta per un folk-retrò, magnificamente dispiegato con pochi, ma accortissimi, mezzi, nel suo esordio e ora la ritroviamo qui, a distanza di un paio d’anni, pronta a riconquistarci con la sua fragilità e la sua immediata cordialità . Questo mi evoca la musica di Bedouine, un sorriso che si disvela timidamente sulle labbra, ma che conquista all’istante, in virtù di un approccio genuino e senza fronzoli. Intendiamoci, questa volta la nostra fanciulla lavora maggiormente sugli arrangiamenti (sopratutto gli archi), curati splendidamente da Trey Pollard (un brano come “Dizzy”, ad esempio, è davvero coinvolgente sia nella ritmica incalzante sia in questi suoni di contorno, che creano atmosfere oniriche che si sovrappongono ma che nello stesso tempo danno un forte senso di vivacità ), ma è l’approccio quello di cui parlo, è quella misura e quel garbo (che magnifica parola) che ci toccano, forse perchè sono caratteristiche che la mancanza di tempo, la fretta, la quotidianità frenetica ci stanno facendo perdere.
Punti alti? Beh, quelle carezze primaverili di “Sunshine Sometimes”, gli archi cinematografici di “Hummingbird” che duettano magnificamente con gli arpeggi di chitarra e la voce così dolce di Bedouine, il gusto quasi sudamericano di “Matters Of The Heart” e quella chiusura da sogno che è “Tall Man”
All’epoca del primo album si erano evocati i nomi di Joni Mitchell o Nick Drake. Bene, possiamo tranquillamente riprendere questi nomi già citati, tanto per delineare delle coordinate, ma forse la vera bravura della fanciulla è di creare delle canzoni senza tempo, quasi come i migliori Hem (altra band che sfrutta benissimo gli arrangiamenti), loro più contaminati dall’alt-country se vogliamo, eppure, come Bedouine, capaci di smarcarsi dall’attualità musicale e vivere in una realtà in cui gli orologi hanno davvero smesso di funzionare.
Credit foto: Moises Galvan