Tra varie peripezie e tanto, tanto blues rock, l’ascesa dei The Black Keys è una delle più seguite dagli amanti del rock del ventunesimo secolo: gavetta, concerti, fino ad uno zenith (almeno commerciale) raggiunto con “El Camino” del 2011. Poi, progetti e iniziative in solo (specie per Auerbach) che altro, rotte soltanto dall’ultimo lavoro, “Turn Blue” del 2014, che a conti fatti aveva deluso i più.
I tempi erano quindi maturi per un nuovo lavoro in studio per i ragazzi (ormai uomini) di Akron, con la voglia almeno sulla carta di ritornare a fare rock come ai bei vecchi tempi: quale titolo migliore quindi di “Let’s Rock”?
E con un titolo così, giocoforza le attese dovevano essere alte, almeno quelle di ritrovare quelle scariche blues, garage e soul abbinate a melodie a presa diretta che li hanno resi autentici portabandiera del guitar rock dei nostri tempi.
Alla fine dei salmi però, per quanto rock ce ne sia eccome senza particolari sbandate in altri territori (come aveva fatto, ad esempio, “Turn Blue” nella psichedelia), possiamo constatare che benzina nel serbatoio di Auerbach e Carney ce ne sia ancora, quella voglia genuina e che appare davvero spontanea, istintiva, non artefatta: ciò che manca, semmai, è la potenza dei cavalli nel motore che sembra a tratti davvero calata. Si va infatti avanti a velocità pressochè costante, giri medi e marcia innescata medio/lunga, tra riff pregevoli quanto a tratti scolastici, melodie d’impatto e comunque di gusto, assoli che fanno il loro dovere senza però strafare o restare impressi a lungo nella memoria. Via tastiere, arricchimenti, orpelli in genere, e non sarebbe nemmeno un male alla fine. Assente però ingiustificato, Patrick Carney: meccanico, lineare, quasi d’accompagnamento, lontano ai standard di estro ed intensità a cui ci aveva abituato. Quasi come fosse uno sparring partner di Auerbach, più che la metà complementare o la seconda bocca da fuoco.
Certo, “Let’s Rock” è un piccolo bignami rock e quindi è impossibile non apprezzarlo, per quanto appunto scolastico e senza un decisivo impatto in termini di memorabilia: ci sono cose buone e magnetiche al punto giusto nella loro semplicità strutturale (“Lo/Hi”, la southern e sorniona “Fire Walk With Me”, e mettiamoci anche la scanzonata “Go” e “Shine a Little Light”, che hanno ben in vista il marchio The Black Keys), altre che sembrano quasi un riempitivo, per quanto non da deplorare in maniera assoluta (“Tell Me Lies”, la CCR “Sit Around and Miss You”, “Every Little Thing”).
Tanto mestiere, buon gusto, immediatezza, garra però da rivedere, insieme ad una scaletta che forse avrebbe potuto regalare più pezzi da ricordare e un po’ di superficialità in meno . Visto però che mala tempora currunt, è bene prendere e portare a casa, senza lesinare voti positivi. Scegliamo quindi, una media matematica, per quanto non dovrebbe (quasi) mai essere questo il metro di giudizio più corretto: 7,5 alla chitarra di Auerbach, 7 alla parte melodica, 5 al desaparecido Carney.
Alla prossima, The Black Keys: sperando che l’approccio resti quello di “Let’s Rock” e lo spessore sia davvero meritevole di applausi, come vogliamo in fondo un po’ tutti.
Photo by Alysse Gafkjen