La discesa di Macbriare Samuel Lanyon “Mac” DeMarco era attasa, anzi attesissima. Prova ne è la fila interminabile di persone che attendono di varcare la soglia del Circolo Magnolia per l’unica data italiana del tour di supporto di “Here Comes The Cowboy”. Incuranti del caldo torrido e delle zanzare più che agguerrite, il colpo d’occhio non lascia dubbi, a vincere sono i sorrisi stampati sulle facce dei presenti.
Del resto quella simpatica canaglia di Mac si merita tutto questo clamore, e se dal Canada non ci porta una ventata di aria refrigerata, che farebbe tanto comodo, possiamo stare certi che ci farà divertire parecchio.
Da quando lo abbiamo visto l’ultima volta, sempre sul palco del Circolo Magnolia, sono passati 5 anni, qualcosa è cambiato, la fanbase è cresciuta ma assistere a un suo live è sempre come avere tra le mani un pacchetto irresistibile di caramelle multigusto, non sai quale assaggerai per prima, le scarterai tutte, una dopo l’altra. E alla fine, insaziabile, vorrai un’altro pacchetto.
Mac sbuca dal palco che sono da poco passate le 22, raggiunge il microfono saltellando, accompagnato dalle note del “Padrino”. Cappellino da baseball, t-shirt bianca e pantaloncini. Stessa faccia stropicciata e quell’aria un po’ trasandata e folle che lo hanno fatto diventare icona tra gli hipster un po’ nerd di mezzo mondo.
La partenza è con due hit: “On the Level” e “Salad Days”, un regalo non scontato al suo pubblico che esplode di gioia. Presenta la band, per nome, siamo tra amici e le formalità non contano, raccomanda di “restare idratati e sorridere ai vicini”. La scaletta prosegue con “Nobody” e “Finally Alone”, brani che ci portano dentro nelle atmosfere più intimistiche dell’ultimo album.
Il pubblico impazzisce e ogni pezzo viene cantato e scandito a perdita di voce. Sul palco, Mac e la sua band, cazzeggiano, scherzano, l’alchimia perfetta di chi non si prende troppo sul serio e riesce ad eseguire dannatamente bene ogni pezzo. Si passa dal quasi-funk di “Choo Choo” alle ballate di “This Old Dog”, senza dimenticare i vecchi classici “My Kind of Woman” e “Rock and Roll Night Club”.
L’impressione è che ogni brano suoni diverso da come lo avevamo ascoltato su disco. Niente effetti speciali, nessun abbellimento psichedelico, le canzoni scivolano una dopo l’altra libere ed essenziali. Bellissime nella loro semplicità . Mac si è scoperto crooner dal timbro profondo, padrone della sua voce e capace di giocare e alternare con la stessa facilità falsetti e urla rock.
L’amore per il pop lo-fi prende una forma quasi punk nella seconda parte del live. Piccole jam session distorte dove non si può far altro che ammirare la bravura di Mac e compagni. Dopo quasi due ore di live, c’è da emozionarsi ancora con la gente seduta per terra e dieci minuti con Andy alla voce e Mac a vagare sorridente sul palco prima del gran finale con “Still Together”.
“What you see is what you get“, dicono gli anglossassoni. E Mac è così, un po’ goffo, ironico e disarmante nella sua genuinità . Un genio che sa scrivere canzoni sulla dipendenza dalle sigarette più dannose in circolazione (“Ode to Viceroy”) e sa mettersi completamente a nudo, senza paura delle debolezze e del dolore.