C’era una volta, in una calda serata infrasettimanale di luglio, una lunga, ma scorrevole, fila al bar della Rock School Barbey. La gente, alla ricerca di refrigerio, accorreva da ogni dove per procurarsi una birra prima dell’inizio dello spettacolo. L’artista, che tutti aspettavano con vivace entusiasmo, non era un musicante qualunque. Era, bensì, un profeta dagli abiti strabilianti.
Se il concerto di Kevin Morby alla Rock School Barbey di Bordeaux fosse una favola, inizierebbe, probabilmente, proprio in questo modo. Di certo la scenografia fiabesca presentata sul palco ha spinto una gran parte del pubblico a pensare alla performance in questi termini: quattro rose, bianche e rosse, avvolte all’asta di ogni microfono e dell’ovatta sintetica, adagiata per terra a mò di cornice celestiale.
Per questa tournèe Morby fa una scelta minimalista ed opta per l’accompagnamento di un solo trombettista. Il concerto si apre senza troppi preamboli sulle note di “Oh My God”, tratta dall’omonimo ultimo disco. “Chi dice nuovo tour dice nuovo completo” aveva dichiarato il cantante sul suo account instagram qualche tempo prima. Effettivamente la scelta dell’abito di scena non delude per niente. Mani giunte in preghiera a sottolineare la piega delle ginocchia, candele rosse avvolte da nastri dorati in vita e sulla schiena un trionfo di ali che circondano la scritta “Oh My God”.
Un buon inizio che prosegue con le due pepite “Hail Mary” e “Savannah”. Morby, fino ad allora piuttosto serio e concentrato, saluta la platea abbozzando un “merci!”. “Seven Devils” scalda gli spiriti ed a partire da questo momento il musicista inaugura un nuovo balletto che lo vede passare dalla chitarra alla tastiera con giravolte fluide, ma pacate.
“O Behold”, “No Halo” e “Crybaby” s’infilano, l’una dopo l’altra, come perle lungo la stessa collana luminosa. Se i toni del live sono quasi troppo solenni ed in linea con le tematiche del nuovo album fino a questo punto, la svolta non tarda a farsi strada.
Il tuffo sempre rinfrescante nel passato arriva, infatti, poco dopo con la tripletta “Beautiful Strangers”, “Destroyer” e “I Have Been to the Mountain”. Il pubblico si ritrova, improvvisamente, ad assumere il ruolo di coro sorridente ed appassionato, ed accompagna il sound di Morby battendo le mani in modo effervescente.
Morby saluta la platea e ringrazia tutti per la magica serata. Il pubblico protesta energicamente per quella fine annunciata troppo prematuramente. L’artista, dal canto suo, si lascia sfuggire un caldo sorriso sornione prima di aggiungere: “Lo sapete che se continuate ad applaudire così noi torniamo, vero?”.
L’attesa per l’encore dura a pena due sorsi di birra. Morby torna sul palco a grandi falcate, regalandoci una versione di “Parade” con una chitarra galoppante che è una vera festa per le orecchie. Segue repentino il medley “Harlem River – City Music”. Una bomba rock, a tratti folk, in alcuni punti quasi stranamente jazz, soprattutto grazie al geniale contributo del trombettista. Un ultimo e ricchissini colpo di cannone, assestato sempre gentilmente, in pieno stile Kevin Morby. Omg, chapeau.