Alexandra Levy, in arte Ada Lea, viene da Montreal (Canada) è una musicista, pittrice e visual artist con studi jazz alle spalle, prima di capire che quella non era proprio la sua strada. La passione bruciante per la chitarra e un buon numero di donne ribelli da cui trarre ispirazione (Sylvia Plath, Frida Kahlo, Karen Dalton, Nina Simone) l’hanno portata a incidere l’album d’esordio per la prestigiosa Saddle Creek, dopo un EP (“Sainte Cecile” del 2016) e una raccolta di demo casalinghi (“Bored” del 2017).
“What We Say In Private” racconta senza filtri pensieri, emozioni, delusioni, storie finite e amicizie spezzate rielaborando i diari che la Levy ha scritto furiosamente per sei mesi, dopo la fine di una love story particolarmente complicata. Un viaggio eclettico tra indie rock grintoso, folk pop e tentazioni lo-fi come se nella playlist di Ada Lea ci fossero Wilco, PJ Harvey, Daniel Johnson e la prima Lucy Dacus.
Cinque canzoni lineari e sincere (“What Makes Me Sad”, “The Party”, “The Dancer”, “Yanking The Pearls Off Around My Neck “…” e “180 Days”) alcuni brani che hanno il DNA del piccolo tormentone (“Mercury”, “Wild Heart” e “Easy”) e un disco che procede tra sperimentazioni e bizzarrie alla ricerca frenetica del ritornello giusto che sembra non arrivare mai.
Molte idee, diversi stili assaggiati, mille facce quante sono le emozioni provate. La volontà di spostare in alto l’assicella dell’indie rock è chiara in un debutto non ancora perfetto ma promettente, che ci fa conoscere meglio un’artista di cui sentiremo parlare ancora. Sarà interessante scoprire dove Ada Lea riuscirà ad arrivare quando deciderà quale strada tra le tante a disposizione vorrà percorrere. La personalità c’è già e non è poco.
Credit foto: Bao Ngo