Il mio carissimo amico Enrico non ci poteva credere. Me lo chiedeva ogni volta…”ma come fai ad ascoltare sta roba? Tu ascolti il death, il grind e poi ti piace sta musica?“. Bella domanda. Tutto era nato per scherzo, nel senso che le riviste specializzate all’epoca citavano spesso Mick Harris, batterista dei Napalm Death, che aveva abbandonato la truppa per dedicarsi a un progetto elettronico-sperimentale. Fu così che mi venne la voglia di seguire il percorso di uno dei miei idoli, (anche perchè comunque c’era sempre il vessillo Earache a garantire una certa continuità  e la cosa mi rassicurava) e mi ritrovai tra le mani quel gioiello a nome “Vae Solis”. Il metal era mutevole, era una maschera dalle mille sembianze e tutto per me era nuovo: da quel punto di partenza andai a ripescare gente come Old e Godflesh, ma quell’esordio degli Scorn mi era rimasto in testa.

“Vae Solis” aveva ancora forti componenti grind-metal che si mescolavano con pulsioni industrial. Un disco che a tutt’oggi ha ancora un fascino oscuro e malatissimo. Ma la premiata ditta Harris / Nic Bullen (anche lui ex Napalm Death) era in perenne fermento. “Colossus” apriva la porta su un mondo dub oscuro e pesante, in cui tutto si faceva più claustrofobico ed elettronico, con ancora le chitarre però come elemento importante. Ma fu con “Evanescence” (oggi di difficile reperibilità  sul mercato, tra l’altro) che la trilogià  trovò perfetto compimento e sublimazione. Che Mick Harris, da ex batterista, lavori magnificamente sui ritmi non c’è neanche bisogno di dirlo, che abbandoni praticamente l’uso delle chitarre (e il legame con il metal), beh, non fu così scontato. Gli Scorn lavorano di fino: abili scultori di una pietra che prima era monolitica e poi si dimostra magicamente snella, cangiante, capace di essere quasi “liquida” in vari tratti. La forma canzone c’è (“Days Passed”), ma in realtà  le canzoni potrebbero durare all’infinito, mentre il tracciato sonoro si dipana tra basi incalzanti, dub, tribalismi (“Exodus”, roba da andare letteralmente in paradiso con questo brano,con il suono dei tamburi e una morbida e avvolgente industrial-dance), voci lisergiche, ambient-psichedelico e occhi aperti a un mondo trip-hop decisamente vivo in quel periodo. Certo l’ambiente in cui l’album si sviluppa è foriero di paure e oscurità  (“Night Tide”), i ritmi sono tanto ossessivi quanto ipnotici eppure i mantra vocali di Bullen finiscono per catturarci inevitabilmente.

Gioielli dub oscuri che amano fascinazioni notturne/robotiche come “Light Trap” (che potrebbe mandare in estasi i fan dei Massive Attack), visioni cibernetiche dilatate e dark in una versione distorta e horror di “Blade Runner” in “Dreamspace”, i Portishead in un manicomio di “Silver Rain Fell” e l’inquietante (ma veramente, da non ascoltare mai al buio in solitudine) “Automata”: questi sono i miei 4 cardini di un disco che, a distanza di 25 anni, non ha perso nulla del suo fascino spettrale e mesmerico.

Capolavoro.

Ps…ancora ripenso con piacere a quando vidi gli Scorn a Rimini proprio per il tour di questo disco. Esperienza unica. 50 minuti senza muovermi, agganciato in una morsa da suoni e immagini. Favoloso.

Ps2: occhio a “Ellipsis”, versione remixata dell’album a cui hanno messo mano pesi massimi del calibro di Meat Beat Manifesto, Autechre o Bill Laswell.

Pubblicazione: 23 agosto 1994
Genere: ambient, dub, industrial, trip hop
Lunghezza: 63:16
Label: Earache
Produttori: Scorn

1. Silver Rain Fell
2. Light Trap
3. Falling
4. Automata
5. Days Passed
6. Dreamspace
7. Exodus
8. Night Tide
9. The End
10. Slumber