Sono passati oltre cinque anni dall’album più recente degli Hold Steady, “Teeth Dreams”, uscito a marzo 2014: effettivamente è un periodo piuttosto lungo, ma nel frattempo la band di Brooklyn non è certo stata immobile, pubblicando alcuni singoli digitali di tanto in tanto (cinque dei quali sono finiti su questo LP) e proseguendo comunque la propria attività live.
Mentre nel 2016 è ritornato in formazione il tastierista Franz Nicolay, il frontman Craig Finn ha pubblicato altri tre dischi solisti, l’ultimo dei quali, “I Need A New War”, è stato realizzato solamente lo scorso aprile.
E’ dunque arrivato il momento giusto per gli Hold Steady per ritornare con un nuovo album? Questo loro settimo lavoro sulla lunga distanza, registrato all’Isokon Studio di Woodstock, New York e registrato insieme al produttore Josh Kaufman, in uscita questo weekend, ci darà la risposta più corretta.
E allora andiamo ad ascoltare e ad analizzare le dieci canzoni che compongono “Thrashing Thru The Passion”, soprattutto le prime cinque canzoni del disco, quelle inedite: l’apertura, “Denver Haircut” sembra un classico Hold Steady, con le chitarre di Tad Kubler e Steve Selvidge che fanno sentire i loro muscoli, ma anche il lavoro di Nicolay al piano è decisamente evidente e un graditissimo ritorno, sia per i fan che ““ dobbiamo ammetterlo ““ per l’economia del nuovo disco.
Ovviamente non possiamo che rimanere affascinati da Finn e dal suo modo poeticamente moderno di raccontare le sue storie e descrivere i suoi personaggi, ma, in un brano pieno di energia e intensità come “Epaulets” non possiamo essere indifferenti davanti a quei deliziosi fiati che sanno molto di classic rock scuola Boss.
Se il recente singolo “You Did Good Kid” sembra essere l’unica nota stonata di questo settimo LP, con il suo andamento strano e la sua atmosfera sinistra e riflessiva (anche i vocals di Craig non funzionano a dovere in questo caso), la successiva “Traditional Village” ha un sapore molto “’80s rock con quel delizioso mix di chitarre, piano e sax: un suono davvero gradevole di cui non se ne ha mai abbastanza.
“Blackout Sam”, infine, chiude la prima parte con un mood molto calmo e pensante, il sound risulta minimale in confronto ai pezzi che la precedono e la voce passionale del frontman sembra quasi consolare l’ascoltatore, mentre racconta di “local legends”.
“T-Shirt Tux” ha influenze blues (anche qui ottimo il lavoro delle chitarre), ma la band di Brooklyn sa comunque mettere la sua impronta anche su questa canzone, mentre in “The Stove & The Toaster” è il potente e intenso drumming di Bobby Drake a guadagnarsi un importante spazio in mezzo alle sei corde, ai sempre bellissimi fiati e al preciso piano di Franz.
Un album molto solido, intenso e, come sempre, sincero: The Hold Steady non reinventano la storia del rock, ma sanno reinterpretare il genere molto bene e il ritorno di Nicolay nella band non fa altro che aggiungere preziosi dettagli al loro suono. Il risultato finale è assai gradito e positivo. It was definitely worth the wait.
Photo Credit: David Shankbone