20 anni fa veniva dato alle stampe “Armstrong”, ultimo album in studio dei bresciani Scisma, fino all’estemporanea reunion del 2015 che ha dato vita all’Ep “Newman”.
E’ bastato quel breve assaggio in fondo, una manciata di nuove canzoni e relative date ““ poche ma assai significative ““ per farci tornare alla mente le meraviglie sonore create anni or sono dal combo capitanato da Paolo Benvegnù. In realtà bisogna ammettere che chi li aveva amati vent’anni prima, non li ha mai dimenticati, nè tantomeno ha accantonato l’idea che gli Scisma si possano rimettere insieme, non dico definitivamente, ma almeno in maniera più continuativa. Troppo profonde le ragioni di un legame viscerale che lega i fan al gruppo, ancora lungi dall’essere rimarginata la ferita per l’annuncio dello scioglimento, celebrato tre anni dopo, nel 2002 con un concerto dai contorni magici, intitolato poeticamente “The Last Waltz”.
Realisticamente parlando, solo una componente umana fortissima, un legame che più che d’amicizia, era per certi verso di vero affetto tra i singoli elementi della band, potrebbe far esaudire il desiderio di una (nuovo) riavvicinamento, perchè di fatto le vite del già citato cantante, chitarrista e principale autore Benvegnù, della magnetica cantante Sara Mazo, della tastierista e autrice Michela Manfroi, della bassista Giorgia Poli, per non dire dell’altro chitarrista Diego De Marco e del batterista Danilo Gallo (questi ultimi due nemmeno presenti alla realizzazione dell’Ep) hanno preso direzioni diverse, non solo da un punto di vista artistico.
E allora riavvolgiamo i nastri dei ricordi e torniamo al 1999, quando gli Scisma, già attivi dalla prima metà degli anni 90, erano reduci dalla positivissima esperienza relativa all’album “Rosemary Plexiglas” uscito per la major EMI, con etichetta Catapult, a testimoniare il grande interesse e fermento che si stava sviluppando attorno al loro progetto. C’è lo zampino in fase di produzione di Manuel Agnelli, importante per dare una direzione e una visione più possibile d’insieme ma è indubbio che l’idea stessa alla base del disco, anche per arrangiamenti insoliti nell’ambito del rock tricolore del periodo, fu partorita completamente dalla band e da Benvegnù e la Manfroi in primis, artefici principali di musica e testi. Componenti queste, quella musicale e quella narrativa, che erano facce della stessa policroma medaglia, davvero difficili da catalogare.
Gli Scisma diventano “in diretta” un nome di culto, già durante gli infuocati concerti dell’epoca, dove l’amalgama all’interno del sestetto era pressochè perfetto, anche se vogliamo da un punto di vista meramente estetico, con la presenza contemporanea di tre maschi e tre femmine.
Giunti ad “Armstrong”, gli Scisma sembrano avere ancora moltissimo da dire, e da dare al proprio pubblico, ma l’occasione è buona anche eventualmente per ampliare il proprio pubblico, visto che al di là del sostegno univoco della stampa specializzata e della vicinanza dei fan (che sfocia per alcuni nella devozione!), è mancato sinora un tassello per la piena affermazione nel mainstream. Non che questo fosse un obiettivo primario ma in fondo al periodo (sembra quasi impossibile a pensarci adesso) anche band senza compromessi, alternative, finivano nelle zone altissime della classifica (exploit dei C.S.I. ,filati persino in vetta nel 1997, a parte). E proprio perchè “ce l’avevano fatta” gruppi coevi come Marlene Kuntz, Afterhours dell’amico Agnelli, ma anche Subsonica, Bluvertigo, Casino Royale, Ustmamò e altri ancora, sembrava che pure loro meritassero, banalmente e volgarmente, il “successo”.
In realtà , anticipato dal singolo “Tungsteno”, che già i Nostri presentavano negli ultimi live del neverending tour di “Rosemary Plexiglas”, il nuovo album presentava peculiari gli aspetti salienti a loro cari: il caratteristico intrecciarsi di voci di Paolo e Sara (con il primo a conti fatti un po’ più presente da solista rispetto al disco precedente), le musiche che schizofrenicamente spaziavano da atmosfere sognanti a irruenze sonore, dalla psichedelia notturna a languori jazz, dal rock d’autore al pop elettronico, come poteva sembrare di primo acchito il già citato singolo di lancio, per alcune settimane finito addirittura nelle play list generaliste di alcuni network radiofonici commerciali.
Insomma, gli ingredienti c’erano tutti, a mio avviso poi miscelati egregiamente, per quantomeno bissare i riscontri ottenuti in passato.
Personalmente solo a scorrere la scaletta mi vengono i brividi, l’emozione è ancora palpabile, come lo fu al primo ascolto. Ricordo che all’epoca pensai: “ok, è un album più accessibile, un giusto compromesso tra sperimentazione e classicismo”.
In seguito però, specie vedendoli più volte dal vivo, e avendo avuto la fortuna di conoscerli abbastanza bene tanto da confrontarmi con loro sull’argomento, mi resi conto ben presto che l’album concedeva davvero poco in termini commerciali e tra le pieghe di canzoni memorabili nella loro placida melodia (“L’universo”, “Troppo poco intelligente”, la splendida “Simmetrie”, la dolcissima “L’innocenza”) si celavano alcune delle migliori “strutture” musicali sentite in quel periodo.
Dirò di più, e non me ne vogliano gruppi che si erano giustamente affermati, nessuno come gli Scisma sapeva creare dei tessuti sonori così ricchi, complessi, frastagliati; nessun autore era in grado di scrivere testi come quelli di Benvegnù (e avrebbe confermato questa felice tendenza con i suoi numerosi album da solista pubblicati nel nuovo millennio). Non ho citato prima l’eterea e avvolgente “I’m the ocean”, scritta dalla talentuosa Giorgia Poli con Mark Huyghens dei Venus, l’intensa ed elettrica “Giuseppe Pierri”, il maestro delle elementari di Paolo, la frizzante e ottantiana “Jetsons high speed” ““ con uno dei testi più ermetici e filosofici di Benvegnù ““ o la raffinata “L’amour” ma sono tutti esempi mirabili dello strabordante talento che sgorgava dalle anime e dai cuori di questi splendidi protagonisti, seppur quasi inconsapevoli, del rock italiano.
In questo album è presente anche Giovanni Ferrario, che cura la produzione (con Benvegnù) e suona anche le chitarre ““ lo farà spesso anche dal vivo, e ogni singolo aspetto come detto sembra essere messo al posto giusto.
La band si dice sia implosa per “troppo amore”: questa alla fine è l’emblematica e romantica motivazione data successivamente dal leader ma d’altronde in ogni vita ci sono degli alti e bassi, delle esigenze che poi diventano altre, il bisogno di dire “stop” quando necessario, per ripartire con altre vesti e nuovi propositi.
Lo hanno fatto anche gli Scisma ma ciò che ci hanno lasciato in eredità durerà per sempre e soprattutto è destinato a non disperdere per nulla il proprio valore, anzi, ad ascoltarle adesso, (anche) le canzoni di “Armstrong” hanno un fascino e una forza difficilmente riscontrabili in tanti prodotti odierni che sanno di effimero.
Scisma – Armstrong
Data di pubblicazione: 10 Settembre 1999
Tracce: 12
Lunghezza: 46:22
Etichetta: Parlophone/EMI
Produttori: Giovanni Ferrario e Paolo Benvegnù
Tracklist:
Tungsteno – 3:09
L’innocenza – 3:50
I am the ocean – 3:55
Troppo poco intelligente – 3:55
L’amour – 3:54
Giuseppe Pierri – 4:36
E’ stupido – 4:52
L’universo – 4:48
Jetsons high speed – 3:36
Simmetrie – 3:58
Armstrong – 4:18
Good morning – 4:51