Clairo è un altro tassello che è parte di una wave di nuove viralità e innovative forme artistiche che vanno oltre i singoli e la musica contenuta nei dischi. Alcuni spezzoni della sua esibizione a Reading avevano fatto crescere in me una grande curiosità nell’approfondire il suo album di debutto, ma il risultato è stato (SPOILER) abbastanza scialbo.
La co-produzione di Rostam (ex Vampire Weekend) era uno di quei segnali che fanno entrare nel disco carichi di aspettative: un nome così, associato ad un album d’esordio, offre la sensazione di ritrovarsi in un luogo benedetto, in un ristorante pronto ad offrirci una cena perfetta e senza pari. è un peccato quando, nel momento decisivo, il gusto di ogni pietanza (brano) risulta insapore.
In “Immunity” a rimanerci male però non è il gusto quanto l’udito, che è completamente anestetizzato da una produzione, da una scelta dei suoni che aveva bisogno di una maggiore dose di coraggio. L’aspettativa alta gioca un brutto scherzo a Clairo, che rimane sempre su una linea di accettabilità , ma non riesce mai ad accendere niente di sfolgorante.
Nel disco, sia chiaro, assistiamo ad un autentico superamento della confort zone, che si racchiudeva in un sound costruito su un pop estremamente lo-fi, tuttavia la nuova dimensione di Clairo, seppur sonoricamente più matura, è piatta, omogeneizzante.
Il paragone con Frankie Cosmos, lungamente portato in processione da molti critici, decade e questo forse lascia la dimensione di Clairo imperscrutabile e a tratti anonima.
Quanto resisterà il suono di questo disco alla prova del tempo?
La nota positiva sta nell’uso smodato, però azzeccato, delle percussioni: basta sentire il ritmo sinuoso ma rigido, quasi tendente all’RnB, di un brano come “Sinking”.
L’arma migliore sfoderata è ancora nella confidenzialità di brani come “Bags” o “Softly”: il pregio di tracce come queste, e a dirla tutta anche del disco, è quello di riuscire a giocare con la delicatezza e con il dono di Clairo, che sicuramente è quello di saper scrivere canzoni.
Il problema non è dunque nella scrittura, nell’approccio o nelle tematiche del disco, che condensa una bella scarica di idee come dimostra in versi come: “I Wouldn’t ask you to take care of me“, in cui Claire ““ nome di battesimo dell’artista- gioca anche con brani più vecchi come “Sis”.
La caratura artistica di un personaggio così è evidente e possente, eppure in “Immunity” non tocca tutti i tasti giusti, probabilmente a causa di un’eccessiva spersonalizzazione.
Il suono del disco è come tramortito, spaventato dalla capacità di mostrarsi intimo e le scelte, in generale, sono comode, poco pericolose e sicuramente piuttosto annacquate.
La direzione presa è comunque un lancio in avanti, una scelta artistica che forse (per ora) non convince, ma sicuramente traccia una sequenza in più e delinea un nuovo modo per fare musica, che probabilmente ha sorpreso la stessa Claire Cotrill.
Clairo sta caricando una grande e lunga onda, come quelle di Hokusai, e “Immunity” per ora è uno di quei cavalloni adatti solo per chi, dotato di poetica ingenuità , entra nel mar Adriatico sperando di cavalcare l’onda perfetta da isole Samoa.