Alla fine il missile ipersonico l’ha sganciato proprio lui, ed è stato meglio così. Un missile diretto al cuore, che non ferisce ma emoziona dal primo all’ultimo secondo.
Sam Fender, ragazzo classe ’94 riconosciuto già come uno degli esordienti più promettenti sul panorama britannico, debutta magnificamente con il suo “Hypersonic Missiles”. C’è chi parla già del vero erede di Bruce Springsteen, o del nuovo Tom Petty, noi sappiamo solo che questo ragazzo di 25 anni sembra davvero diverso da molti suoi coetanei e amici del Pop Inglese studiati e preparati a tavolino che ci sono stati propinati fino ad ora.
Certo anche le sue canzoni sono furbe, strizzano l’occhio all’ascoltatore grazie a melodie acchiappa ascolti, ma se ci si ferma un attimo ad ascoltare si capisce che il ragazzo ci crede davvero e riesce molto bene a trasmettercelo, con il cuore. Ed è proprio da qui che arriva quella sensazione di imperfezione che paradossalmente rende il lavoro del giovane inglese così perfetto. Da un lato le canzoni, integralmente scritte di suo pugno, così malinconiche, profonde, toccanti, e assolutamente perfette, dall’altro quella naturale innocenza post adolescenziale che porta a quella impulsività difficile da controllare ma che per fortuna esiste.
Insomma, quel ragazzino che passava le sue serate nei pub di North Shields bevendo qualche pinta e imbracciando la sua chitarra acustica (ovviamente Fender), all’apparenza un modello, è in realtà un cantautore incredibile e particolare, basta ascoltare l’album per capirlo.
La sua voce profonda dalla timbrica cristallina ci ricorda a tratti quella del compianto Jeff Buckley e i suoi testi sono tutt’altro che scontati o superficiali, ma si articolano in temi profondi, scomodi, delicati che, raccontati da un ragazzino del ’94, risultano ancora più difficili da digerire.
Come la title song “Hypersonic Missiles” , una protesta contro il destino dei “bambini di Gaza” e la straziante “Dead Boys” che ricorda la terribile media degli 84 ragazzi che ogni settimana si tolgono la vita nel Regno Unito . E se la stupenda “That Sound” parla della pressione pressante data dalla frenesia nelle grandi città (gelandoci il sangue con il suo fenomenale assolo di sax che sa molto di INXS) ” We will talk?” ci trasporta dolcemente strappandoci un sorriso grazie alle melodie che ricordano un po’ Strokes e War on Drugs.
Molte le influenze che si possono percepire, come è giusto che sia, ma che vengono inevitabilmente dimenticate durante l’ascolto dei suoi brani, originali nello stile. Un lavoro di pancia, raffinato sapientemente nella fasi produzione, un lavoro coraggioso che ci presenta al massimo il giovane Inglese ma che al contempo non ci svela tutto, lasciando il microfono acceso per raccontarne ancora.
Con questo disco Sam Fender si è fatto conoscere al mondo come il classico ragazzo che vediamo passare in quartiere e che inevitabilmente ci porta a pensare “quel ragazzo farà strada, è certo che ne farà “.