“Morning In America” viene pubblicato a poche ore dalla notizia dell’ennesima sparatoria che ha insanguinato gli Stati Uniti, episodi ormai così frequenti da essere diventati una spaventosa routine. E’ questo il paese che i Mudhoney raccontano in sette brani urgenti, rabbiosi. Copertina in bianco, grigio e nero, un titolo che cita lo spot elettorale di Ronald Reagan del 1984 (“Prouder, Stronger, Better”) ribaltandone il significato.
E’ passato un anno da “Digital Garbage” ma Mark Arm, Steve Turner, Guy Maddison e Dan Peters hanno ancora molto da dire. Sarcastici come d’abitudine e più sferzanti del solito scrivono il loro personale inno nazionale: la title track “Morning In America” con quelle lucidissime e livide righe iniziali (“America hates itself / America hates itself / America thinks it’s someplace else“) che fotografano come una Polaroid la fine del sogno e l’inizio dell’incubo.
“Let’s Kill Yourself Live Again” è la versione alternativa molto più punk di “Kill Yourself Live” quarta traccia di “Digital Garbage”, in “Creeps Are Everywhere” troviamo un Mark Arm capace di fare meraviglie con la sua tagliente e cocciutissima voce mentre il basso di Maddison trascina “Ensam I Natt” (cover dei The Leather Nun) prima di una chiusura tutta muscoli e cervello con la batteria di “Snake Oil Charmer” e i riff brucianti di “One Bad Actor” tratta da un raro EP condiviso con gli Hot Snakes.
America che odia se stessa, che si guarda allo specchio e si ritrae disgustata, incapace di uscire da un vortice di bugie e schiava del potere ma non ancora sconfitta quella dei Mudhoney. Un’America divisa che resiste gridando “Fight back / Stand up tall / Kick them square in their tubular balls” in ventidue minuti carichi e convinti.
Credit foto: Niffer Calderwood