Il loro debutto, “Sunken” risale al 2013 ed i Twin Peaks si fecero subito notare grazie al loro approccio spiccio e senza fronzoli, brani che per riff e linee di basso si incastravano perfettamente nel filone garage-rock. Anche nel successivo “Wild Onion” la band di Chicago confermò la propria natura garage ma, come ombre che si allungano al calar del sole, incominciavano ad intravvedersi brani più malinconici e riflessivi che avrebbero portato la band ad una vera metamorfosi nell’album del 2016, “Down in Heaven”, molto più blueseggiante, con dolci serenate e suoni unplugged ad ammorbidirne le spigolature degli esordi.
Un album che a molti ricorderà gli Stones, veri e propri idoli musicali a Chicago, tanto famosi da non solo influenzare la scena musicale della città ma spesso essere considerati dai suoi abitanti una band locale.
Altri tre anni di attesa e “Lookout Low” ci intrattiene con altre dieci nuove canzoni che confermano la svolta verso un suono più curato e vario, grazie alla produzione di Ethan Johns (già produttore di Kings of Leon e Paul McCartney) che ha plasmato i suoni della band nella forma di quello che possiamo definire “American Rock”, dove l’aggettivo “American” unisce vari generi, dal blues al country per raggiungere, ai suoi estremi pure il funk.
L’album è stato registrato e mixato in Galles, al Monnow Valley Studio di Rockfield dove Johns ha potuto sfruttare la grande abilità della band nel cavarsela piuttosto bene nelle performance dal vivo. Pare che i Twin Peaks abbiano scelto Johns mentre ascoltavano i Kings of Leon, in particolare il loro secondo album che il produttore inglese aveva indirizzato verso sonorità vicine al southern rock. Rinchiusi in studio per tre settimane i Twin Peaks hanno registrato dieci brani che, come tipico di questo ancora giovane gruppo, portano la firma di James, Croom, Dolan e Frankel. Johns è riuscito quindi ad ottenere il massimo utilizzando lo studio di registrazione come un palco dove il quintetto ha praticamente registrato i brani in presa diretta (cosa da grandi band come Pearl Jam e guarda caso i Black Crowes).
L’ottimo singolo “Dance Through it” è un brano tipicamente funk, scritto e interpretato da Cadien James (come sono lontani i tempi in cui la sua voce rauca si esaltava nei locali di Chicago). La classica introduzione del basso accompagna il pezzo nella sua evoluzione con i fiati a prendersi la giusta dose di protagonismo. La voce e le tastiere di Colin Croom sono invece in evidenza in “Ferry Song”, piccola perla alla Grateful Dead, con New Orleans ed i suoi traghetti che trasportano pendolari, consigliamo un’occhiata al video.
Jack Dolan, il bassista, concede il suo contributo con la delicata e malinconica ballata “Unfamiliar Sun”. “Oh Mama” è un più che gradito ritorno al passato della band, con Cadien “à la” Jagger a strillare in un brano che è una sfida alla staticità (ci piace immaginarlo a conclusione di un loro concerto per sentirlo nella testa mentre calpesto vuoti bicchieri di plastica sulla via di casa). Clay Frankel mette del suo nella mielosa “Lookout Low” e nel lentaccio strappalacrime, “Under A Smile”.
I Twin Peaks hanno mantenuto un alto livello di qualità in ogni album pubblicato sino ad oggi e sicuramente la critica spenderà ottimi giudizi anche su questo. Per chi vi scrive la deriva classic rock che la band di Chicago mostra in questo lavoro lascia un poco perplessi. Il garage di Chicago è rimasto in cantina a questo giro (non male il gioco di parole, concedetemelo) e forse, i poco romantici come me, un pochino ci sono rimasti male.
Pic by Cooper Fox