La storia dei Pixies è decisamente lunga e parte oltre 30 anni fa in quel di Boston: non spetta certo a noi dire quanto importanti siano le pagine da loro disegnate per il mondo dell’alt-rock a stelle e strisce e non solo e quante siano le band che il gruppo del Massachusetts ha saputo influenzare nel corso degli anni (ci puo’ bastare citare gente come Nirvana o Soundgarden, senza venire troppo avanti negli anni), ma, dopo il ritorno (nel 2004) dal lungo stop, Black Francis e compagni hanno ancora dimostrato una notevole solidità .
Chi scrive li ha visti in Italia solo una volta (al Ferrara Sotto Le Stelle), ma anche altre in giro per i festival europei: quella di oggi è sicuramente una buona occasione per andarli a riascoltare e testare il loro stato di forma dopo la pubblicazione del loro convicente settimo LP, “Beneath The Eyrie”, uscito appena un mese fa.
La risposta del pubblico emiliano al concerto della band statunitense è stata eccellente con il promoter costretto, pochi giorni dopo l’annuncio delle date italiane, a spostare il live dall’Estragon nel più ampio Paladozza, andato recemente sold-out anch’esso.
L’eccitazione dei presenti è ai massimi livelli quando, pochi attimi dopo le nove e un quarto, il gruppo del Massachusetts sale sul largo palco felsineo: se c’erano dubbi sulla tenuta dei Pixies, il loro biglietto da visita ci dimostra immediatamente la loro integrità , prima con la cover di “Cecil Ann”, brano strumentale dei Surftones, e in seguito con la nuovissima “St. Nazaire” dalla cattiveria punk assassina.
Coaudiuvato ai vocals più di una volta dalla bassista Paz Lenchantin, ormai da alcuni anni parte integrnte della band, Black Francis scuote il palazzo dello sport bolognese con una grinta sorprendente per un musicista non più giovanissimo: le aperture alla melodia, però, arrivano poco dopo, con “Bone Machine”, quando il frontman ha già in mano da qualche minuto la sua sei corde acustica, che non abbandonerà più fin verso lo fine del concerto. L’energia, però, non viene a meno, mentre le vibrazioni rimangono positive.
Dopo una parte che ci permettiamo di definire più “morbida”, si torna a volumi e ritmi decisamente intensi con “Wave Of Mutilation”: anche qui, come accade per quasi tutto il concerto, il drumming di Dave Lovering ha decisamente una marcia in più, dando una spinta propulsiva alla canzone della band statunitense.
“Monkey Gone To Heaven” ha la giusta grinta, ma il suo ritornello è decisamente poppy, la nuova “Death Horizon” rallenta il ritmo e spazia verso terreni folk, mentre è impossibile resistere a “Here Comes Your Man”, forse dai toni fin troppo tranquilli, ma sempre e comunque gustosa e fondamentale.
La potenza e i suoni duri di “Cactus” – dallo storico debutto “Surfer Rosa” – ci fanno comprendere perfettamente le influenze che certe band grunge hanno preso da Black Francis e soci; subito dopo ecco un’elettrica ed elettrizzante “Where Is My Mind”, che è un vero e proprio inno per tutti i presenti, indipendentemente dalla loro età .
Il melodico indie-rock della recente “Catfish Kate”, è seguito dall’altrettanto nuova “This Is My Fate” dall’aspetto sinistro e sospettoso che, lo dobbiamo ammettere, riesce a sorprenderci ancora una volta.
Il ritorno del frontman alla chitarra elettrica arriva con “U Mass”, che ci trasporta verso un finale punk ed estremamente intenso: il gruppo di Boston, infatti, non ci lascia scampo e, per la gioia dei tantissimi fan presenti stasera al Paladozza, scatena le sue ultime violente bombe che chiudono il lunghissimo concerto dopo quasi due ore.
Da “Tame”, dalla ferocia grunge, passando alle sfrenate chitarre di “Head On”, cover dei Jesus & Mary Chain, fino alla conclusiva e aggressiva “Debaser” non c’è più un momento per prendere il fiato.
Nemmeno una parola, ma tanta, tantissima musica, ma era questo ciò che tutti cercavamo e volevamo: l’energia e l’adrenalina non sono certo mancate stasera, mentre i Pixies hanno dimostrato non solo di aver scritto parecchie pagine importanti nella storia del rock, ma, grazie alle nuove canzoni, di essere ancora capaci di dire più di qualcosa in futuro. Una serata da ricordare.