E se il futuro del rock fosse donna? Domanda interessante, bisognerebbe pensarci visto il gran numero di soliste e band al femminile emerse in anni più o meno recenti in giro per il mondo (Chastity Belt, Savages, Bleached, le Nasty Cherry sponsorizzate da Charli XCX solo per citarne alcune). Una lista lunga, variopinta e variegata in cui entrano di diritto le Desert Sharks. Quartetto newyorkese che suona insieme dal 2011 e arriva al disco d’esordio con una solida gavetta alle spalle, due EP già pubblicati (“Sister Cousins”, “Template Hair”) e il piglio di veterane piene d’entusiasmo.
Le chitarriste Stefania Rovera e Sunny Veniero, la batterista Rebecca Fruchter e la bassista e cantante Stephanie Gunther sono cresciute negli anni novanta, periodo che influenza notevolmente la loro musica ma senza particolari nostalgie. “Baby’s Gold Death Stadium” è un album con una forte personalità : si sentono echi di Sleater-Kinney, L7, Veruca Salt, Toadies, Babes In Toyland ma le Desert Sharks non devono niente a nessuno.
Il loro garage punk è vivace, trascinante. Un suono sporco e abrasivo (“Dating?”, “Trust”, “Seasick”, “Dead Weight”, “Volcano”, l’arrembante “For Loneliness Sake” con un bel finale in velocità ) reso intrigante da un basso post punk e più gentile da un lato melodico à la The Breeders rivendicato con forza e esibito con orgoglio in “I Don’t Know How to Dress for the Apocalypse”, “Serpent” e “Sick Sad World”. Dodici brani grintosi, di grande impatto che rivelano le qualità di un gruppo da ascoltare e tenere d’occhio con estrema attenzione.
Credit foto: Shawn Cuni