I Lightning Bolt tornano a colpire quattro anni dopo “Fantasy Empire”, trasferendosi in una “Sonic Citadel” fatta su misura per le rumorose esigenze di Brian Gibson e Brian Chippendale. I due Brian non si danno per vinti neppure dopo venticinque anni di pericolose evoluzioni sonore e continuano a rintanarsi nei Machines With Magnets studio di Pawtucket (Rhode Island) per registrare un settimo album diverso dal (loro) solito.
Sempre aggressivi, più rock e massicci mettono muscoli cuore e grinta al servizio di ritmi sudatissimi, indiavolati ma meno noise e saturi di distorsione. Quelle di “Sonic Citadel” sono note nude e crude, senza maschere (tranne quelle indossate da Chippendale sul palco). Undici brani potenti con improvvise virate melodiche (“Don Henley In The Park”, “All Insane”) e un’energica inversione a U in “Hà¼sker Dön’t”: pop e power pop riveduto e corretto dai due Brian (Bob Mould apprezzerebbe).
L’inizio è sfrenato con le tiratissime “Blow To The Head”, “USA Is A Psycho” e “Air Conditioning” tra garage e hardcore, puro istinto messo in musica senza troppi pensieri. Sembrano sempre sul punto di crollare, di sfaldarsi i brani suonati dai Lightning Bolt invece arrivano puntualmente alla fine sul filo della tensione sprigionata da strumenti maltrattati all’infinito come succede in “Big Banger”. “Halloween 3” è un classico live, un’improvvisazione fermata su disco mantenendone l’anima elettrica e disordinata che ritroviamo anche in brani come “Bouncy House”.
Il basso elettrificato di Gibson e la batteria di Chippendale diventano tribali in “Tom Thump” e i nove distortissimi minuti finali di “Van Halen 2049” confermano l’invidiabile forma dei Lightning Bolt. I ritmi alti si adattano di più all’impeto dei due Brian ma è confortante vedere che non hanno perso la voglia di mettersi alla prova, esplorando territori meno familiari.
Credit Foto: Scott Alario