I Quartieri sono tornati con un nuovo disco: “Asap”. Il loro lavoro passato è stato un profondo apripista per tutta una serie di strade intraprese dalla musica alternativa italiana. Nella nostra intervista abbiamo parlato di come sono cambiate le cose in questi anni, di come è cambiato il modo di intendere l’arte e del loro rapporto con Roma, città che da sempre è stata fondamentale per loro.
Il vostro modo di fare dischi è sicuramente dedito ad una “slow-art” di fondo: non c’è velocità , esigenza di accelerare, lanciare singoli ecc”… qual è il valore aggiunto di rispettare i propri tempi artistici?
Si è vero. Ci siamo presi molto tempo per fare questo disco. Questa cosa non ha un valore in se, è semplicemente andata così. Avevamo queste canzoni in mano. Le abbiamo lavorare molto in sala prove, prima di andare in studio. Durante la prima fase di lavorazione inoltre Marco Pellegrino, il nostro batterista, ha deciso di seguire altre strade. Questa cosa ha comportato una fase di stallo e, devo ammetterlo, di incertezza. Inoltre le nostre vite private hanno spesso preso il sopravvento. Quando tutto si è riallineato e ci sentivamo pronti e liberi, abbiamo ripreso il discorso e siamo andati in studio. Li le cose sono successe in fretta. Una settimana di registrazioni e poi i mix. Anche perchè le canzoni erano già state prodotte in sala prove. Quindi le ragioni di questa attesa sono molteplici e non legate a qualche tipo di visione su come andrebbero fatte le cose. Di sicuro il nostro approccio al fare musica non va proprio d’accordo con la logica della velocità e del “batti il chiodo finchè è ancora caldo”.
Se c’è un valore aggiunto al rispettare il proprio ritmo, sta nel fatto che quello che crei matura in sintonia con quello che vuoi esprimere.
Non so se raccoglieremmo di più se ci forzassimo di ragionare in altro modo, facendo tanti singoli, tanti video ecc. A volte ci proviamo a ragionare in questi termini, ma se le cose per noi non hanno un senso, un legame stretto con quello che amiamo, ci guardiamo in faccia e decidiamo di lasciar perdere.
Questa continua ricerca della “nuova uscita”, secondo voi, è legata all’iperproduzione artistica?
In parte è così. Anche se le parole “iperproduzione” e “artistica” fanno un po’ a cazzotti. Ci sono stati dei fenomeni di successo, e un gregge indistinto che ha provato ad emularli. Nel mezzo ci sono tanti episodi di valore, ma c’è molto conformismo e poca ispirazione autentica. è nato questo nuovo mercato in Italia nel giro di pochissimo tempo e tutti si fiondano alla ricerca di un posto da occupare. Un po’ come quando è uscita la mania della sigaretta elettronica. Le città si sono riempite di negozietti che le vendevano, ma hanno chiuso tutti subito.
Ora passiamo al vostro bellissimo disco: nel lavoro si percepisce molto rock psichedelico, ma c’è stata qualche situazione/mood in particolare che, in questi anni, avete cercato di mettere in luce?
La psichedelia non era un nostro obiettivo, perlomeno non un obiettivo dichiarato. Forse avendo un approccio da band che suona, e a cui piace suonare, ci prendiamo lo spazio che vogliamo con gli strumenti, e ci sono dei momenti di sola musica che rubano la scena ai testi. Volevamo che la musica andasse d’accordo il più possibile con il senso delle canzoni. Si tratta di canzoni che affrontano temi come la perdita, l’assenza, il dialogo perso e il senso di smarrimento. Volevamo accompagnare questi stati d’animo e certe riflessioni con i suoni giusti.
In questi 6 anni tutto sembra mutato molto velocemente, come avete vissuto tutto questo cambiamento nel panorama della musica italiana?
La musica è tornata ad essere un bene di massa e il pubblico giovane ha bisogno di nuove proposte e non può certo farsi piacere la Pausini o i Modà . Poi è cambiato il linguaggio, e la comunicazione si è spostata completamente sulle piattaforme social. Di conseguenza gli attori in gioco sono cambiati. Noi nel frattempo siamo stati in sala prove e abbiamo portato avanti molti altri progetti paralleli. Paolo ha da poco chiuso in esperienza con il suo duo Lapingra, Marco Santoro si è cimentato nel mondo dei visual e dell’elettronica, io ho prodotto diversi dischi e collaborato con molti artisti.
Come i lavori che avete svolto in altre produzioni, album ecc”… hanno migliorato il vostro modo di lavorare come band?
Quello che fai con gli altri o che vedi fare a chi ne sa più di te diventa materiale prezioso. Non solo dal punto di vista tecnico e materiale, ma anche da punto di vista dell’approccio e dell’attitudine. Inoltre il confronto ti fa capire che le tue insicurezze e i dubbi che hai in fondo ce li hanno tutti, e che devi solo imparare a nasconderli meglio.
Il lavoro su SIRI è stato molto interessante, il racconto (anche con il video) è generazionale, contemporaneo. Quali sono le domande che vi fate sulle nuove generazioni?
Parliamo molto di come i giovanissimi vivano il fenomeno della fruizione. In parte lo possiamo intuire, dall’altro ci domandiamo se questa frenesia contemporanea è un fenomeno di passaggio che lascerà naturalmente spazio a qualcosa da vivere più lentamente, da assorbire e non da fagocitare. Ma non lo possiamo sapere. Basterebbe non approfittarne.
In questi anni c’è stato un cambiamento, a livello artistico, della città di Roma? Come la trovate e cosa continua a significare per voi?
Roma ha un impatto forte sulla nostra musica, ma più per via della sua natura complessa e della sua vastità umana e urbana che per la sua cultura musicale attuale.
“Se non hai tempo, non hai niente”, cantate in “Vacanze su Marte”, allora sono curioso, qual è la vostra concezione del tempo?
Sembra che il tempo sia uno spazio da riempire di ogni cosa: lavoro, impegni, crescita personale e occasioni da non perdere.
In realtà il tempo può essere anche quello spazio che riesci a svuotare. Sei padrone del tuo tempo quando non sei costretto a riempirlo di cose e persone. Il tema del tempo libero, non nel senso semplice dello svago, diventerà un argomento fondamentale a brevissimo per la salute dell’uomo. Le società occidentali si stanno ammalando, e una delle ragioni sta nel fatto che le persone davvero non hanno più tempo per stare con se stesse, riflettere un po’ sulla propria situazione, per capirci qualcosa in più, per prendere una decisione, o semplicemente per non fare niente. La canzone Vacanze su Marte parla di questo.
Nel disco usate molte parole cardine, belle e importanti. C’è oggi una parola o un modo di comunicare che vi spaventa?
Asap (As Soon as Possible)