Al Fabrique tutti sono in trepida attesa, mentre la venue comincia a riempirsi sale sul palco il primo artista della serata, lo scozzese Kyle Falconer (leader dei The View), accompagnato dalla sua inseparabile chitarra. L’esibizione pur non essendo particolarmente coinvolgente resta comunque di qualità e il timbro della sua voce risulta molto piacevole.
A scaldare il pubblico prima dell’imminente ingresso degli headliner ci pensano i King Nun. Il loro è un live energico e dinamico. Theo Polyzoides, il rossissimo cantante, e gli altri giovani membri della band sono complici e si divertitono genuinamente; nei loro occhi si legge in modo inequivocabile il grande entusiasmo per ciò che fanno. Ad un certo punto Theo si toglie la maglia (qui, come potete immaginare, partono acutissime urla adoranti) e con un rossetto rosso si disegna sul petto il logo del loro album, “Mass“. Balla e si dimena più che può, fino al clichè “rock’n’roll” della chitarra schiantata al suolo.
Mancano due minuti alle 21:30 quando viene riprodotto il brano reso celebre di recente dal film “Joker”, “Rock “‘N’ Roll Part 2”, di Gary Glitter. La scelta del pezzo non sembrerebbe per nulla casuale. “Glitter”, infatti, sarà la parola chiave di tutta la performance dei The Struts.
Terminata la canzone la band inglese sale sul palco, raggiante. Luke Spiller è pieno di brillantini sul viso, come i suoi fan più affezionati, e paillettes dorate sulla maglia. Comincia subito a cantare due delle le loro hit, “Primadonna Like Me” e “Body Talk”, ballando divinamente tra luci coloratissime.
Ma il frontman non vuole certamente essere l’unico a divertirsi: “If there’s someone who doesn’t want to sing or dance, then he can get the fuck out of here!”, intima, e il pubblico non ha intenzione di contrariarlo, sono tutti lì per scatenarsi con lui.
Di tanto in tanto Luke si siede al piano e il suo carisma, la sua voce potentissima, la naturalezza con cui si muove sul palco, il modo di coinvolgere il pubblico ricordano in modo pazzesco quelle di Freddy Mercury, è innegabile.
Dopo il medley di “Tatler Magazine”, “The Ol’ Switcheroo”, “Black Swan” e “Roll Up” un lunghissimo e ipnotico assolo del chitarrista Adam Slack ci porta alla seconda parte dello show con annesso cambio d’abito per il cantante, che ora indossa una maglia con delle maniche lunghissime che sventolerà per tutta l’esibizione.
In questa seconda parte i The Struts si cimentano anche in due cover, “Dancing In The Street” di Martha Reeves and the Vandellas e “Same Jeans” dei The View, band di Kyle Falconer, che si unisce a loro per cantarla.
Con “Where Did She Go” la band lascia il palco, ma al classico “one more song!” urlato a squarciagola dal pubblico tornano in scena per regalarcene ben altre tre, “Somebody New”, “Ashes (Part 2)” e “Could Have Be Me”.
Sul finale del concerto Luke ringrazia ogni persona che ha reso possibile la serata, compreso il pubblico milanese che pare si sia quadruplicato dalla loro data ai Magazzini Generali, a marzo di questo stesso anno. Parliamo di un sold out da 3000 persone rispetto alle 700 di qualche mese fa, una crescita esponenziale che ha portato la band a definire la serata come una delle migliori della loro carriera. La band si è dimostrata grata per l’affetto e la fiducia ricevuta, una seconda chance per loro, tutta meritata.
Lo show è stato coinvolgente e i The Struts si rivelano oltre che grandi musicisti, veri professionisti dell’intrattenimento. Molto del merito del loro successo va al leader della band, uno showman completo che a fine esibizione avrà anche perso tutti i glitter sul viso, ma non ha mai smesso di brillare.
Photo: Anna Lee Photography