di Stefano Bartolotta
“Lifeblood” è indubbiamente il disco più pop dei Manics, ma soprattutto è il più sottovalutato. Per anni e anni ho letto ogni genere di argomento denigratorio nei confronti di questo insieme di canzoni, che invece a me piace tantissimo. I detrattori ricorrono soprattutto all’arma del “non piace nemmeno a loro”, visto che, a quanto pare, ci sono delle interviste successive alla pubblicazione in cui la band mostra di essere poco convinta del risultato. Ma la storia è piena di musicisti che, quando devono valutare il proprio lavoro a posteriori, esprimono opinioni quantomeno bizzarre. Una su tutte è quella di Torquil Campbell degli Stars, che ritiene “In Our Bedroom After The War” il peggior disco della sua band. Assurdo, vero? E io quindi dovrei convincermi che “Lifeblood” sia un brutto disco solo perchè ne parla male chi l’ha fatto?
Che poi, ultimamente, qualche canzone qua e là è apparsa durante i live, e io, ad esempio, mi sono goduto una “Solitude Sometimes Is” da antologia a Edimburgo lo scorso maggio, quindi, magari, anche loro stanno cambiando idea. Per cui è giusto tentare di lanciare un’operazione rivalutazione in occasione della ricorrenza dei 15 anni dall’uscita. “Lifeblood” è un gran bel disco pop, compatto, efficace, pulito, senza suonare patinato o artificiale, e i suoi arrangiamenti asciutti, dritti al punto e molto più basati sulle tastiere che non sulle tradizionali chitarre, sono decisamente più interessanti e catchy rispetto alla costruzione smaccatamente radiofonica di dischi come “Send Away The Tigers” e “Postcards From A Young Man”, loro sì da considerarsi passi falsi, anche per via di una qualità melodica molto discontinua e scadente in più di un episodio. Al contrario, le melodie di “Lifeblood” scorrono via che è un piacere, perfettamente valorizzate dalle scelte musicali di cui sopra e da un timbro vocale che vi si adegua perfettamente, ed è vero che il lato graffiante della voce di James Dean Bradfield è uno dei suoi aspetti più caratteristici, e qui non ve n’è traccia, ma non avrebbe avuto senso cantare in quel modo su queste canzoni. L’abilità di un artista si nota anche dalla capacità di saper fare le cose giuste al momento giusto, servendo in primo luogo la canzone, e qui James fa perfettamente tutto ciò, e lo stesso vale per Nicky Wire e Sean Moore, con un suono che è un unicum nella loro discografia, ma che è esattamente quello che doveva esserci.
Un aspetto sempre importante nella proposta dei Manics sono i testi, normalmente molto intensi e ricchi di pathos, e che qui, invece, seguono la maggior leggerezza del suono e del timbro vocale. Ciò non significa, però, che manchi la capacità evocativa e che gli argomenti trattati non siano significativi. Al contrario, “Lifeblood” tratta con estrema lucidità tematiche come la morte, la solitudine e, soprattutto, il sentirsi perseguitati dal proprio passato. Un passaggio come “If black were truly black not grey/It might provide some depth to pray/To black out all the worlds of men/And demons too, but not even then” dalla citata “Solitude Sometimes Is” è pura poesia; parole pesanti come “So God is dead, like Nietzsche said/Superstition is all we have left/Circle the wagons, we’re under attack/We’ve realized there’s no going back”, da “1985”, rivelano una disillusione per nulla nichilista, ma estremamente ragionata e ponderata. E un altro punto di forza importante è rappresentato dalla capacità di parole, voce e musica di valorizzarsi a vicenda, perchè un conto è dire certe cose, o cantare in un certo modo, o fare certe scelte dal punto di vista del suono, e un altro è mettere insieme questi tre aspetti in modo che ognuno acquisisca più forza andando insieme agli altri due.
In definitiva, è ora di rivalutare questo disco spesso bistrattato e di dargli il posto che si merita all’interno della discografia dei Manics. I punti di forza sono tutti lì da ascoltare, e di punti di debolezza, francamente, non se ne vedono. Con questo disco, i Manics ci hanno portati a scuola di pop, una cosa che non hanno mai fatto nè prima, nè dopo, ed è assolutamente il caso di seguire attentamente la lezione e trarne i giusti insegnamenti.
Pubblicazione: 1 novembre 2004
Genere: Pop/Rock, Synth-rock
Lunghezza: 45:26
Label: Sony Music
Produttore: Tony Visconti, Tom Elmhirst, Greg Haver
1985 ““ 4:08
The Love Of Richard Nixon ““ 3:39
Empty Souls ““ 4:05
A Song For Departure ““ 4:20
I Live To Fall Asleep ““ 3:57
To Repel Ghosts ““ 3:59
Emily ““ 3:35
Glasnost ““ 3:15
Always/Never ““ 3:42
Solitude Sometimes Is ““ 3:22
Fragments ““ 4:03
Cardiff Afterlife – 3:27