“Ho bisogno di dirti domani” è il quarto disco di Nicolò Carnesi, nel lavoro il cantautore siciliano ha spinto l’asticella più in alto cercando di portare in Italia un cantautorato rinnovato, post-moderno. La sua è una ricerca estetica e introspettiva che abbraccia anche mondi diversi come quello di Frank Ocean o James Blake.
Abbiamo chiacchierato con Nicolò facendoci raccontare dove e come è nata questa nuova direzione della sua musica.
Il disco è generazionale nel senso che racconta nel profondo le ansie e le paure dei giovani di oggi. Perchè c’è questa continua tensione ansiogena oggi?
I motivi sono svariati, innanzitutto siamo bombardati dagli altri e da ciò che fanno. Il bombardamento è scorretto, sui social noi vediamo solo quello che va bene delle persone, solo i lati positivi. Noi siamo preoccupati su ciò che facciamo e mostriamo, allora abbiamo un’ansia rispetto al futuro che è gigantesca. Basterebbe capire che non è tutto oro quello che luccica, bisogna tornare a ragionare su noi stessi. Io in questi anni ho cercato di ritrovare, nella scrittura del disco, una consapevolezza di me e del futuro. Chiaramente c’è il fattore del caso che influisce nelle nostre vite, spesso lo chiamiamo destino, ma su quello veramente non possiamo fare nulla.
Come hai incanalato tutta quest’ansia qui nel disco, da un punto di vista artistico?
Per me scrivere è terapeutico, quando mi sento ansioso e preoccupato per delle cose, io scrivo. Tendo a buttarmi completamente nella scrittura e nella composizione, per me questa è un’arma, perchè se lavoro due settimane ad un pezzo per me è pura terapia, la mia attenzione sul brano uccide completamente l’impulso negativo che arriva dall’esterno. Sto molto meglio quando scrivo e compongo. Sono stato assolutamente fortunato perchè nella musica riesco a conciliare terapia e lavoro.
Nel disco la dimensione temporale è onnipresente, ma c’è anche tanto spazio e ci sono i tuoi luoghi. Come questi luoghi hanno influito sul “prodotto finale”?
Ieri ho usato il termine prodotto e mi sono pentito di averlo usato, ma alla fine un disco è un prodotto nel senso stretto del termine (da un punto di vista artigianale). Io ho iniziato a scrivere il disco sostanzialmente tra Milano e la provincia di Palermo, si parte dalla prima traccia con la visione del bar centrale di Milano e finisce tutto nella ricerca del mare. Il bianco della neve diventa simbolo di un qualcosa che ci manca, anche quando siamo tornati.
L’intero disco è costruito su delle storie che sono affrontate su un flusso di coscienza, le storie sono interiori e per questo ho cercato di raccontare tutto con tecniche vocali elaborate con autotune o vocoder. “Ho bisogno di dirti domani” è una sorta di vocina interiore, mi interessava molto sperimentare con la voce in maniera nuova. Se penso a canzoni in Italia cantate in falsetto penso solo ai Cugini di Campagna.
Com’è nata la voglia di giocare con la tua voce?
Nella musica oggi è difficile creare un senso di novità , tutto è stato fatto e rifatto. Ho pensato che un modo originale per personalizzare tutto, partendo anche da ricerche fatte da artisti come Frank Ocean, Bon Iver o James Blake, era proprio tramite un’elaborazione post-moderna della voce. Sono sempre stato descritto come un cantautore classico e io volevo dire la mia in un modo diverso.
Ti sei riscoperto più musicista che cantautore?
Sono sempre stato un polistrumentista. Mi sono sempre sentito più musicista che autore, poi ho sempre avuto quest’etichetta, ma anche il secondo disco l’avevo suonato completamente solo e in questo ho prodotto e pensato alla musica, anche con l’aiuto di Donato Di Trapani, che è un mio collaboratore storico che aiuta incredibilmente a colmare e confrontare i punti di vista.
C’è allora un problema con quest’etichetta del cantautore in Italia e magari con l’esagerazione a paragonare un disco ai classici di Dalla, Battisti ecc..?
Non so se è un problema perchè il cantautorato è la nostra storia e quei nomi fanno parte di noi. Nel mio lavoro credo si senta che sono ascoltatore fedele di Dalla, Battisti ecc”… Nella musica dei “più giovani” c’è invece il problema che stiano scomparendo dei riferimenti, c’è una tendenza della società a trasformare la musica in un puro desiderio di lucro, io spero venga eliminato questo svilimento e questa ricerca ossessiva dei soldi nella musica.
C’è una colpa degli artisti in queste dinamiche?
Su questo non possiamo nulla, gli artisti sono umani quindi ci sono quelli intelligenti, gli idealisti, gli stupidi ecc.. non possiamo farci nulla, la musica essendo un settore limitato potrebbe puntare generalmente sulla qualità , mentre invece molto spesso tende a puntare al suo contrario per puro fattore economico.
Tu sei un cantautore che fa network: riesci a confrontarti con tantissimi artisti, come ti aiuta il continuo confronto con gli altri?
A me piace molto, perchè quando stimo artisticamente e umanamente una persona, mi piace parlare con sincerità e scambiarmi punti di vista. Il confronto e l’ascolto condiviso sono fondamentali, ho una grande sincerità nel dire le cose con tutti. Questi dialoghi ti danno una grande fiducia, io sono molto aperto e mando provini a tutti, cercando di capire e cercando di allargare il più possibile la fetta delle opinioni. Mi piaceva poi fare le presentazioni del disco con queste persone che mi hanno aiutato ad allargare gli orizzonti.
Qual è la tua visione del tempo?
Io vivo il tempo come una continua proiezione, per me è assolutamente relativo e connesso allo stato d’animo della persona. Devo dire che mi piacerebbe provare il fucile dell’empatia (‘Guida Galattica per Autostoppisti’) per capire come vive, con la sua coscienza, un’altra persona, ma per ora conosco solo la mia.
Mi piacerebbe provare la coscienza di un altro perchè credo sarebbe la soluzione di tutti i problemi del mondo. Il tempo lo vivo proiettandomi molto al passato, la nostalgia la vivo molto nella sua dimensione più malinconica, perchè è bello essere cullati da queste cose. Il futuro invece mi preoccupa sia personalmente che globalmente, non ci sono sintomi positivi. La proiezione verso il futuro ha un’accezione negativa, tranne quando penso a quello che sto facendo ora.
Il disco e la sua uscita mi hanno reso molto felice. Il rimedio, nel mio caso almeno, è la musica, il mio focus.