La voce calda, sinuosa, sofferta di Michael Kiwanuka sembra fatta apposta per farti sentire a casa. Provetto chitarrista dalle radici jazz autore di due premiatissimi album (disco d’oro con l’esordio “Home Again” e primo nelle classifiche inglesi con “Love & Hate”) potrebbe sembrare un prodigio immune da dubbi. Nulla di più sbagliato.
Il percorso apparentemente lineare di questo trentaduenne di origine ugandese cresciuto a Muswell Hill (quartiere bianco a nord di Londra) è pieno di incertezze, ripensamenti. Insicurezze che ha avuto la forza di lasciare alle spalle solo in questo terzo album. “Kiwanuka” è il disco in cui Michael fa pace con se stesso, con quel cognome che a scuola lo imbarazzava perchè veniva spesso storpiato dagli insegnanti.
Il sodalizio con Inflo e Danger Mouse (già produttore di “Love & Hate”) gli ha dato forza, la voglia di rischiare un po’. Gli arrangiamenti frizzanti creati da Brian Joseph Burton mettono insieme afro pop e funk come nella traccia d’apertura “You Ain’t The Problem” contaminando spesso il tutto con un pizzico d’elettronica (“Rolling”).
L’uso delle voci femminili è costante nel disco. Accompagnano spesso quella di Michael armonizzando sulle melodie in brani come l’orchestrale “I’ve Been Dazed” e “Piano Joint (This Kind Of Love)”. “Living In Denial” è un omaggio al soul classico che apre la strada a “Hero”. Un brano dedicato a Fred Hampton, leader delle Black Panther ucciso nel 1969 ad appena ventuno anni, vero punto di svolta di un album che prende posizione.
“Another Human Being” è costruita attorno alla registrazione di una dimostrazione per i diritti civili interrotta improvvisamente da un colpo di pistola mentre in “Interlude (Loving The People)” è la voce dell’attivista e uomo politico americano John Lewis a cercare di svegliare le coscienze.
Due dei molti riferimenti all’America presenti in questo terzo album, merito del vastissimo catalogo di sample posseduti da Danger Mouse. Un’influenza fondamentale che si sente ancora negli arrangiamenti di “Hard To Say Goodbye” e nel minimalismo di “Final Days”.
“Kiwanuka” non è la copia carbone di “Love & Hate”. Meno immediato, senza un asso pigliatutto come la tormentata “Cold Little Heart” diventata successo planetario quando è stata scelta come tema portante della prima serie di “Big Little Lies”. La cosa che più si avvicina a quell’exploit è l’ammaliante singolo “Solid Ground” inserito (forse strategicamente) a fine album prima che la dolce “Light” chiuda le danze.
Non inventa nè ha mai inventato nulla Michael Kiwanuka, modernizza con gusto e passione uno stile che aveva bisogno di una scossa. Ci mette cuore, anima, una buona dose di vulnerabilità in un disco che consola e fa riflettere.
Credit foto: Olivia Rose