A distanza di pochi mesi dall’uscita di “Music from the Last Command” tornano con un album nuovo di zecca i Julie’s Haircut, band assolutamente unica (sin dagli esordi) nel frastagliato sottobosco delle produzioni italiane. Che poi, nel loro caso, entrambe le definizioni suonano un po’ improprie, visto che escono, come per il precedente “Invocation and Ritual Dance of My Demon Twin” su un’etichetta britannica (la Rocket Recordings), e visto che soprattutto di italiano il gruppo, il cui nucleo si formò a Sassuolo, ha ben poco.
Della band originaria, i soli Nicola Caleffi e Luca Giovanardi sono ancora saldi al loro posto, a dettare mood e atmosfere ma tutti gli elementi che via via si sono succeduti negli anni al loro fianco, hanno sempre saputo integrarsi bene, contribuendo anzi ad arricchire una già interessantissima miscela sonora, che da pochi anni si avvale in pianta stabile anche di una sassofonista, la bolognese Laura Agnusdei.
Nel 2019, a suggellare ben 25 anni di attività – e a 20 dall’uscita dell’epocale debut album “Fever in the Funk House”, i Julie’s Haircut (a proposito, ho sempre amato anche il loro nome!) si mostrano quindi più attivi che mai, con queste due ravvicinate pubblicazioni. E se la prima non avrebbe dovuto stupire in fondo per la sua forte spinta sperimentale (essendo di fatto un progetto particolare, una sonorizzazione di un film del 1928 commissionata dal Museo del Cinema di Torino e Transiti Trento), i risultati di questo “In The Silence Electric” vanno proprio a confermare quella tendenza, fino ad accentuarla in determinati momenti del disco.
La band insomma, come intuibile dai live, si smarca ulteriormente dalla matrice rock in senso stretto, per non dire dalla cosiddetta forma canzone, per condensare in un album molte delle istanze che ormai sembrano appartenergli e soprattutto rappresentarli in modo fedele.
Mettersi all’ascolto di queste 9 tracce, significa partire per un viaggio onirico, costellato al più da incubi e tensione, piuttosto che dalle accoglienti braccia di Morfeo. La notte ci viene anticipata da una intro in qualche modo ingannevole – quella “Anticipation Of The Night” che richiama i Pink Floyd di inizi anni ’70 – in grado di cullarci con la voce soffusa di Caleffi e gli interventi di sognanti tastiere – ma l’atmosfera viene spezzata presto da sferragliate di chitarre grattugiate in lontananza e dall’ingresso nella seconda traccia, l’obliqua e pimpante “Emerald Kiss”.
La voce va via via scomparendo, in momenti in cui a predominare è assolutamente lo spazio riempito da suggestioni psichedeliche, da musiche fluide e a-materiche, nonostante in brani caratterizzanti la batteria pulsante e un basso che richiama il periodo dark-new wave come “Until The Lights Go Out” la presenza dei nostri sia ancora massiccia.
Saggiamente vengono miscelati in modo accurato i brani, accostando così canzoni dagli umori placidi e notturni come in “Lord Help Me Find My Way” (che sembra un’invocazione di aiuto a non perdersi nei meandri della rete paludosa) ad altri più minacciosi come nella successiva elettrica “Sorcerer”.
Le atmosfere si mantengono plumbee anche in “Darling Of The Sun”, con il cantato che sembra provenire da mondi lontani e una musica fredda ed effettata sembra comprimerla e confinarla negli abissi.
Si arriva così all’episodio più misterioso e noir del lotto: “In Return” recupera atmosfere floydiane, l’ascoltatore si sente catapultato in un’altra dimensione ma la risalita è vicina e si concretizza nelle multiformi note di “Pharaoh’s Dream” e nella successiva “For The Seven Lakes” che conclude il viaggio in maniera stavolta lineare, senza ulteriori deviazioni.
Dopo 25 anni di attività i Julie’s Haircut mostrano ancora una notevole freschezza creativa e, consapevoli di essere supportati nel migliore dei modi da una label abile a scandagliare un mondo sonoro dai forti richiami psichedelici (magari sommerso ma assolutamente vivo), ci regalano un album dove sono liberi di essere sè stessi al 100%.
Credit Foto: Erik Messori