Il Covo Club ha organizzato una serata davvero speciale oggi perchè, in quel del TPO, suoneranno Orville Peck prima e i Deerhunter poi: le risposte del pubblico non si fanno attendere e la grande sala del centro sociale di via Casarini è decisamente piena anche se non sold-out.

Il cowboy mascherato, grazie anche all’ottimo supporto ricevuto dalla Sub Pop Records, che ha pubblicato il suo eccellente debutto sulla lunga distanza, “Pony”, ha suscitato tantissima curiosità  in giro per il mondo e pure qui in Italia è l’hype nei suoi confronti è cresciuto in maniera esponenziale, come dimostrano le numerose presenza qui al TPO stasera già  dalla sua esibizione.

Piuttosto puntuale, pochi minuti dopo le nove e mezza, Orville Peck sale sul palco della venue felsinea accompagnato da una band composta da quattro elementi, tutti vestiti rigorosamente in un elegante bianco.

Si parte con “Big Sky”, il suo primo singolo, rilasciato alla fine delle scorso anno: mentre la strumentazione rimane minimale, ciò che ci sorprende maggiormente è la sua voce profonda e molto solida, che naviga tra territori country e atmosfere western.

“Queen Of The Rodeo” poi ci stupisce perchè, ai vocals sentimentali del cowboy statunitense, aggiunge scintillanti synth: davvero un gustoso mix!

“Turn To Hate” live risulta decisamente più energica e dal piglio più rock rispetto alla sua versione su disco, ma le chitarre jangly di stampo smithsiano comunque rimangono come le sue ottime sensazioni melodiche.

In “Kansas (Rembembers Me Now)” la voce di Orville Peck è quella di un vero crooner (Elvis anyone?) e i sentimenti passano attraverso questi panorami country dal sapore cinematico.

“Something To Brag About”, cover di George Jones & Tammy Wynette, ci porta verso il Grassroots: il brano, eseguito a velocità  decisamente elevata e cantato insieme alla sua chitarrista e tastierista, risulta incredibilmente divertente e ha un forte impatto sul pubblico bolognese.

“Buffalo Run” inizia calma con i soliti profondi vocals di Peck a dominare, ma si lascia poi andare a ritmi elevati con una batteria galoppante che sa eccitare la folla emiliana e trasportarci verso territori rock pieni di energia e gradevoli melodie; “Take You Back (The Iron Hoof Cattle Call)” chiude la serata con l’allegro fischiettare del musicista statunitense e sonorità  che sembrano uscire da un film western di tanti anni fa.

Che dire? Orville Peck ha incantato i presenti stasera con una performance ricca e interessante, che ha saputo andare ben oltre alle sue origini country per spaziare in tanti altri generi musicali: siamo più che sicuri che questa sua esibizione gli abbia fatto guadagnare parecchi nuovi fan.

La serata, ovviamente, è solo a metà  perchè mancano ancora i Deerhunter, che non sono certo gli ultimi arrivati e non necessitano di grandi presentazioni: l’ultima volta che li avevamo visti qui in Italia era stato quel 13 novembre 2015, data del famoso attentato al Bataclan di Parigi.

La memoria è ancora molto vivida verso quel giorno in cui tutto ““ per chi come noi ama la musica e segue gli eventi live ““ non sarebbe mai stato più lo stesso, ma ovviamente tanto è accaduto da allora e, senza dimenticare quei fatti tragici e indelebili, è nostro dovere andare avanti per costruire qualcosa di positivo per il futuro.

Pochi minuti prima delle undici la band di Atlanta capitanata da Bradford Cox raggiunge il palco del locale felsineo e parte immediatamente con “Death In Midsummer”, primo singolo e opening track del recente ottavo album, “Why Hasn’t Everything Already Disappeared?”, uscito lo scorso gennaio via 4AD e subito ci accorgiamo della maggiore leggerezza del loro suono rispetto al passato: la serenità  che il frontman sembra aver in qualche modo trovato si rispecchia in questa bellissima canzone dalle splendide melodie e dal sapore nostalgico e il pubblico emiliano non puo’ che godere di questa luminosità .

Ottima la costruzione di “What Happens To People?”, che progredisce pian piano e in maniera intelligente, regalando comunque altre sensazioni melodiche davvero pregiate, mentre “Helicopter”, estratta da quello splendore che porta il nome di “Halcyon Digest”, uno dei nostri album preferiti della discografia dei Deerhunter, con quei suoi gustosi synth, ci porta su territori dreamy che ci fanno chiudere gli occhi e vedere colori dalle lucide pennellate.

Sempre dallo stesso LP proviene anche il vecchio singolo “Desire Lines”: se si esclude il drumming intenso di Moses Archuleta, il brano è una calma delizia ricca di malinconia lo-fi e, ogni volta che abbiamo la fortuna di ascoltarlo live, è una vera gioia per le nostre orecchie (irresistibile anche il suo fantastico coro).

Eccitante e allo stesso tempo malinconica, la bellissima e recente “Futurism” è una delle cose più belle e folli della serata, mentre “Nocturne” chiude il mainset con atmosfere soft e appunto notturne tra chitarre, synth e un inaspettato quanto gradito violino.

Ancora tanta carne al fuoco in un ricco encore, che va a ripescare la strumentale “Cover Me (Slowly)” e “Agoraphobia”, due perle dal vecchio “Microcastle”, per la gioia dei fan di vecchia data, prima di lasciare spazio a un’infinita “He Would Have Laughed”, in cui Cox e compagni sperimentano, inventano, improvvisano e regalano sensazioni magnifiche ai loro fan bolognesi.

Un’altra ottima prestazione anche per i Deerhunter che, come dicevamo poco sopra, si sono sicuramente ammorbiditi rispetto agli inizi, ma non hanno mai avuto paura di lasciare uscire i loro flussi creativi, sempre con risultati eccellenti.

Non possiamo che lasciare la venue di via Casarini con il sorriso per quella che è stata una serata da circoletto rosso, sia a livello di numeri che (e soprattutto) di qualità . What a night!